RACCONTO III: FUORITEMPO

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È appena arrivato alla stazione di Matera. Come sempre, dopo ogni viaggio che duri più di dieci minuti, accende una sigaretta. Ma il suo Bic di colore bianco a quanto pare si è arreso e dunque non riesce a fumare, non un buono inizio di giornata. Così si incammina con la sigaretta spenta in bocca, alla ricerca di un tabacchino. Ripensa a qualche mese fa, ad una conversazione ascoltata per caso in un pullman cittadino di Bologna, una signora aveva detto ad una sua amica:

"Devo andare al tabacchi a comprare le sigarette".

"Al tabacchi", che espressione orrida, come si fa a dire "Vado al tabacchi"? Lui direbbe vado da Enzo, da Antonio o da Francesco, in base al rivenditore di fiducia scelto. È scientificamente testato che se dici "Devo andare al tabacchi" fai una vita triste e grigia. Comunque lui "al tabacchi" di Matera deve andarci per forza, si è fermato sperando nel canto del cigno del suo accendino, ma niente proprio non ne vuole sapere. Così lo scaraventa nel primo cestino che gli capita a tiro e si fionda nel primo tabacchino. Entra ed incontra le facce anonime di una piccola città che continua a non essere sua, chi gioca alle macchinette chi compra distratto le sigarette e quant'altro. I tabacchini rappresentano l'attimo sospeso della giornata per eccellenza, la gente ci passa pochi istanti, giusto il tempo di acquistare morte confezionata in pacchetti e va via. Arriva il suo turno e chiede al tizio un accendino, quello prende il primo che capita e lo dà a Mirco, senza una parola. Mirco paga, riceve il resto e saluta, ma quello non risponde. Esce con una rabbia inenarrabile, se c'è una cosa che odia sono i maleducati, quelli che non salutano. Cosa ti costa dire "Buona giornata, grazie" è così difficile rispondere "Grazie anche a te"? Ma anche un semplice "Ciao" o magari anche un cenno con quella faccia di cazzo che ti ritrovi, niente, zero spaccato. Inoltre gli ha dato il resto senza nemmeno contare o dirgli il prezzo dell'accendino. È scritto nello statuto internazionale del cliente che quando un commerciante dà il resto deve contare. Si tratta di una regola sacra e inviolabile, che in luoghi anonimi frequentati da persone anonime nessuno mai rispetterà. Inoltre gli ha dato un Clipper, la peggiore specie di accendini da quando esiste il mondo. Liquidato senza nemmeno un saluto. Al suo paese, da Enzo, ci avrebbe impiegato minimo quindici minuti. Enzo gli avrebbe detto di scegliere l'accendino con cura, e Mirco avrebbe risposto "dammi il primo che capita Enzo", poi qualche considerazione sul meteo e dopo, sicuro come la morte, una analisi a trecentosessanta gradi sul momento dell'Inter, analisi destinata a terminare con il più classico dei "devono cacciare l'allenatore" una risata e dopo un caloroso buongiorno. Questa è vita, quando anche per acquistare un semplice accendino senti il contatto umano di persone che vogliono parlare e non un automa che nemmeno ti saluta e non conta il resto. Che tristezza incontrare gente per strada che non conosci e non saluti. È scientificamente testato che se acquisti un accendino e non parli dell'Inter mentre lo fai, la tua vita è triste. Mirco continua a percorrere le strade poco familiari di Matera, strade che conosce ma che non riesce a sentire sue. Arriva in vista dell'Università, un ex ospedale divenuto una facoltà all'avanguardia: ascensori, aule grandi e un numero infinito di bagni. Assurdo, su ogni piano ci sono due bagni, manca una sola cosa: gli studenti. Poco e niente davvero, pochissimi iscritti, preferiscono tutti le Università delle grandi città. Mirco non ha mai capito questa cosa, gente che si iscrive nelle facoltà dei grossi centri solo per il gusto di viverci. Questa vergogna prometeica di vivere nei piccoli centri e nelle piccole regioni, ma perché? Se puoi iscriverti a Lettere e Filosofia a Potenza e sei lucano, perché vai a Bologna? Perché è più figa Bologna certo, che pena. Comunque entra nella sua facoltà che annovera più water che studenti e siede in un corridoio in attesa del professore. Lui è iscritto  alla facoltà di OBC (Operatore Dei Beni Culturali) e si trova benissimo. Docenti attivi che non si limitano a registrare voti, ma in grado di frequentare i territori e stimolare anche i piccoli paesi dell'entroterra. Quando parla in pubblico Mirco ripete continuamente a coloro che si accingono ad iniziare il percorso universitario, di rimanere in Basilicata, di iscriversi all'UNIBAS che è ottima, di contribuire a migliorarla iscrivendosi. Ma niente, predica come sempre nel deserto. Mirco percorre stancamente le aule del plesso universitario sito in via Lanera. Ha fatto una delle cose più sbagliate della sua vita, ha deciso di seguire dopo tanto tempo un corso, pessima scelta. L'ambiente universitario è ormai per lui il festival del disagio, ad occhio e croce, con poco occhio e molta croce, capisce di essere il più grande, che disagio. Vede le matricole che si godono il momento e si sente un maledetto vecchio, tutti eccitati ed energici mentre lui rimpiange il giorno in cui ha deciso di seguire il corso. Tutto gli urla che è tardi, tutto gli urla che dovrebbe essere in un ufficio e non a seguire un corso, non è affatto normale. Il contatto con gente che ha un percorso di vita normale lo turba, lui che è nato sotto la stella della tortuosità non riesce a capire come fanno gli altri a vivere vite cosi lineari e perfette. Siede ai tavoli del corridoio e accende il suo buon computer, ancora di salvezza in quel mare di giovani leve universitarie. Il professore arriva con una mezz'ora di ritardo e inizia il corso. A Mirco è sempre piaciuto seguire i corsi, anche con una miriade di matricole che non hanno capito che non sono più alle superiori e che difficilmente si ingrazieranno il professore. Ma ci sta, gli umani sono fatti così, sempre alla ricerca di corsie preferenziali. Il corso sta per finire, mancano dieci minuti ma lui va via prima perché ha un pullman da prendere. Altro momento di forte imbarazzo, i pullman che portano gli studenti pendolari delle superiori, sono pieni di profumi nauseabondi e ragazzini in preda agli ormoni che ridacchiano e urlano. Un tuffo nel passato, anche lui era esattamente così, un adolescente pieno di brufoli e casinista. Ma visto con gli occhi di un trentenne è tutto imbarazzante e stucchevole, così inforca le sue cuffie bianco-azzurre della Sony e si immerge nel suo cerchio musicale. La musica spesso l'ha salvato, ha letto da qualche parte che ascoltare musica triste al mattino aiuta ad essere felici per tutta la giornata, una contraddizione forte certo, ma il 2000 è il secolo delle contraddizioni. Essere in un pullman pieno di studenti ad ora di pranzo è un revival della sua adolescenza. Nei pullman scolastici ci entri che sei un bambino e ne esci maggiorenne, quando più o meno hai già capito come va il mondo. I pullman scolastici sono un po' la fase di crescita dei tanti studenti pendolari italiani. Il gesto di mettere le cuffie in pullman è spontaneo. Ricorda quando usava i lettori CD, enormi con i dischi che giravano, poi arrivò l'innovazione dei lettori mp3, 2 giga di musica senza la necessità di portarsi dietro dischi e mastodontici utensili musicali. Adesso usa addirittura il suo cellulare, con Spotify che genera playlist e pensa di conoscere alla lettera i suoi gusti musicali, come si è arrivati a tutto ciò? Comunque ultimamente non riesce più ad appassionarsi nemmeno alla musica come un tempo, anche i nuovi album degli artisti che ascolta da una vita, non lo appassionano più. Che strana la società, riesce a creare polemiche anche sui gusti musicali. Da adolescente ha vissuto la diatriba di coloro che si definivano "rockettari", in breve, divinità scese sulla terra che avevano il vezzo di dire quello che era giusto ascoltare e quello che invece era spazzatura. Li riconoscevi da chilometri: la prima maglia del primo idolo a caso, i capelli lunghi e la puzza sotto il naso, quell'aria in stile Marchese del Grillo "Io so io e voi non siete un cazzo". Sembrava di vivere il periodo dell'inquisizione, tribunali di prelati che decidevano cosa era lecito leggere, dichiarando eretico tutto il resto. Le etichette anche nell'arte è quanto di più macabro possa fare una società qualunquista. Il Rock, legato a forme di ribellione contro le norme sociali, etichettato un secolo dopo da elitari pseudo professori di musica che suonano a malapena il citofono, o che magari si diplomano al conservatorio e di conseguenza si sentono in diritto di etichettare i gusti musicali altrui. A Mirco il Rock è sempre piaciuto, ma mai come gabbia culturale in cui vivere, se un giorno vuole ascoltare "Trottolino amoroso" deve sentirsi libero di poterlo fare. Il pullman ritorna lentamente verso casa, in quella corsa ad ostacoli che è la Basentana, eterno cantiere in una regione di 500.000 abitanti, una regione dove le strade dovrebbero essere di marzapane e oro colato come nelle storie dei bambini ed invece sono piene di buche e di morti a causa dell'assenza di banali opere di civiltà come un semplice spartitraffico. La dolce collina lucana del mese di aprile scivola negli occhi di Mirco, rigorosamente seduto al posto finestrino come sempre. Ha uno strano rapporto con i pullman, ancora li usa, e questo è considerato in maniera strana dagli abitanti del suo paese. In città è normalissimo spostarsi con i mezzi pubblici, ma se lo fai in paese evidentemente sei strano, Mirco ignora il perché ma qualcuno lo trova strano. Del resto ognuno misura la propria virilità tramite qualcosa, alcuni per sentirsi virili hanno la necessità di guidare grossi trattori e grosse macchine, un modo ottimo per accrescere la propria autostima è denigrare gli altri, così chi viaggia in grossi "macchinoni" si sente virile ed in dovere di apostrofare coloro che viaggiano in pullman, è la vita che ci puoi fare. Il pullman alla fine arriva a destinazione, dopo quasi un'ora nel teatro dell'imbarazzo, Mirco scende alla fermata del 118, la stessa fermata da anni, il déjà-vu finale di quella giornata nostalgica. Nel corso dei pochi passi che separano la fermata da casa sua, annota brevemente negli appunti mentali che non dovrà mai più seguire un corso universitario. Con l'età mentale di Noè si appresta ad entrare in casa. Pensa che il festival del ricordo deve durare proprio tutta la giornata, e così dopo un frugale pasto decide di rispolverare i vecchi usi e fiondarsi all'American Bar per una bella partita a carte. Manda un messaggio a Rocco e si danno appuntamento per le 16:00, Mirco inizia a salire e sosta brevemente nei pressi dell'abitazione di Rocco. Non gli pesa aspettare, quando decidi di usufruire della dose di antidolorifico di borgata, non hai il senso del tempo e sai di dover dedicare l'intero pomeriggio al sacrificio. Rocco scende puntuale e i due si incamminano nel paese deserto.

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