Prologue - Astrid

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Avvertenze: Ho cambiato il nome da Audrey ad Astrid.

Prologo - Astrid.

Lasciai il cellulare squillare dentro la borsa, mentre salivo le scale verso il piano in cui Arthur era ricoverato. I medici dicevano che le possibilità di risveglio dal coma erano davvero poche, ma i miei genitori ed io non avevamo mai smesso di sperare di rivedere un giorno i suoi grandi occhi azzurri.

Arthur Anderson, cinque minuti più grande di me, era il ritratto della luminosità fatta persona. Con la sua risata e il suo contagioso sorriso riusciva a migliorare a tutti la giornata. Molti parlavano del legame che unisce due gemelli, quanto fosse forte e indissolubile, ed io e mio fratello eravamo due persone che avrebbero dato la propria vita per salvare l'altro.

Riuscivo a sentire la voce stridula di mamma da lontano e quando sentii due forti braccia stringermi, sapevo che stava succedendo qualcosa di orribile. Osservai i medici intorno al corpo di Arthur, urlando quando le infermiere abbassarono le tapparelle della sua stanza. Strinsi la mano di mia madre, sussurrando a me stessa che mio fratello fosse ancora vivo, cadendo di peso sulla sedia, lasciando che la borsa scivolasse dalla mia spalla fino a cadere sul pavimento bianco.

Vidi il medico uscire dalla stanza, sospirando sollevato. «Siamo riusciti a fermare l'arresto cardiaco, ma le condizioni di vostro figlio sono appese ad un filo. Ci sono buone probabilità che non riesca a superare la notte.»

Mi asciugai le lacrime con un fazzoletto, alzandomi dalla sedia per prendere della caffeina dal bar ospedaliero. Nonostante non fosse uno dei migliori, dovevo farmelo bastare insieme a qualche snack per recuperare energia.

Diedi il mio ordine all'infermiera addetta al bar, inserendo dopo i soldi nella macchinetta, afferrando la mia barretta al cioccolato. Sorrisi malinconicamente alla donna dietro il bancone, prendendo il bicchiere termico contenente il mio caffè. Mi sedetti in un tavolo vuoto, scartando e mordendo lentamente il mio snack. Sorseggiai il mio caffè, stringendo i pugni sotto il tavolo. Le lacrime bagnavano le mie gote e le mani tremavano.

Volevo solo che mio fratello tornasse a stare bene, a sorridere ed a giocare a calcio insieme ai suoi amici il sabato pomeriggio. Desideravo solo poter uscire di casa solo per poter bussare alla porta del suo studio, mangiare insieme a lui il sandwich che mia madre preparava con tanto amore, mentre mi raccontava come stesse procedendo la sua giornata. Arthur lavorava insieme a mio padre, desiderando aprire un studio tutto suo non appena avrebbe concluso i suoi studi per diventare avvocato.

Osservai il telegiornale che mostrava il viso di un criminale scappato dalla sua cella. Mamma diceva sempre che Middletown fosse il posto giusto per nascondersi, dove potevi camminare per le strade senza essere notato. E le piaceva per questo, perché la gente poteva facilmente scappare dal passato, ricominciare da capo un nuovo paragrafo della propria vita senza dover dare conto a nessuno. Se mia madre pensava che MiddleTown fosse la città dei suoi sogni, io ero molto scettica su questo, troppo abituata alle città caotiche come Bristol. Era un posto molto accogliente, tra noi ci conoscevamo tutti e le persone erano molto amichevoli con tutto il vicinato.

Nessuno era prepotente con i ragazzi più deboli, nessuno era migliore di nessuno. Tutti erano amici anche a scuola, ma infondo sapevo che Middletown fosse il posto giusto per continuare i miei studi.

«Perché piangi, tesoro?» sussultai, alzando gli occhi, osservando la figura maschile che mi guardava con un sorriso triste sulle labbra. Era alto, capelli ricci e scuri lunghi fino alle scapole, vestito con una camicia nera e un pantalone dello stesso colore. Guardai la sua mano spingere la sedia, sedendosi, mentre l'infermiera gli serviva il the caldo. Il suo nome era Harold, lo sentii sussurrare dall'anziana signora quando gli portò la sua bevanda calda. I suoi occhi non lasciarono mai i miei e sentii il suo sguardo studiare il mio corpo.

«Sono Harry, comunque.» allungò la mano destra verso di me e in quel momento notai la targhetta attaccata sul lato destro della sua maglietta. Strinsi leggermente la sua mano, sussurrando il mio nome, ritornando poi con lo sguardo perso nel bicchiere contente quel liquido nero che non aveva fatto altro che peggiorare il mio nervosismo.

«Mio fratello è in terapia intensiva.» non sapevo il motivo per il quale mi stessi confidando con uno sconosciuto. Probabilmente per il semplice fatto che si era interessato a me e alla brutta situazione in cui mi trovavo. Ma, infondo, ogni persona che veniva "ospitata" all'interno di quest'edificio, non stava bene.

«Faremo di tutto per salvare tuo fratello, Astrid.» spostai lo sguardo dalla targhetta alla sua figura, sussultando quando la sua mano afferrò la mia in una stretta confortante.

«Perché usi il plurale?»

«Mi voglio laureare in medicina e quando non devo studiare, vengo qui a fare volontariato. Ti posso assicurare che in quest'ospedale i medici sono ottimi e prendono il lavoro molto seriamente. Tuo fratello è in buone mani, te lo prometto.» disse, sorridendomi dolcemente, osservando le fossette ai lati delle sue labbra. Avrei tanto voluto affondare il dito in una di esse, tastarne la morbidezza, ma lasciai che la mia mano scorresse tra i miei capelli spettinati.

«Devo tornare a fare volontariato. Sta tranquilla, tuo fratello si riprenderà. Potrei avere il tuo numero?» chiese, indicando il mio cellulare posato sul tavolo insieme alla barretta dal sapore disgustoso. Annuii lentamente, passandogli il telefono, immergendo il cioccolato nel caffè pronta a tornare da mio fratello. Mi restituì il cellulare pochi secondi dopo, sentendo la vibrazione del suo IPhone, segno che avesse inviato un messaggio con il mio numero.

«Potremmo organizzarci per uscire qualche volta, ovviamente quando tuo fratello starà meglio.» disse, sistemando il cellulare nella tasca del pantalone.

«Per me va bene.» sussurrai, alzandomi dalla sedia scricchiolante su cui ero seduta. Allungai la mano, ma Harry si avvicinò, dandomi un bacio sulla fronte, prima di sparire dietro un grande portone.

Controllai nella casella di posta, trovando qualcosa di strano. Ricordavo di non aver aperto le ultime notifiche, troppo occupata a studiare, e osservai il portone dove Harry era sparito, sospettosa. E se fosse stato a Harry a spiare i miei messaggi?

E se per ora questo fosse solo un mio sospetto, dopo avrei rimangiato ciò che io stessa stavo dicendo. Successivamente avrei imparato a non fidarmi dell'apparenza, forse troppo tardi per fermare l'effetto che Harry aveva su di me.

Harry aveva sette demoni intorno a lui, sette peccati di cui preferiva non parlare, ma la sua colpa più grande fu amarmi con tutto se stesso da diventare uno psicopatico.

Note autrice:

La mia prima storia pubblicata su wattpad, finalmente!

Stavo morendo dalla voglia di pubblicare Psycho da così tanto tempo e sono contenta di averlo fatto. Questa storia comprenderà contenuti forti, pessimo linguaggio, e ciò che scriverò sarà tutto inventato da me.

Non so come continuare.

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