Madness.

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"Luther, senti, mi dispiace di averti fermato con i miei poteri," dissi con una voce ferma, ma non priva di dispiacere.

Lo guardai negli occhi, cercando di trasmettere sincerità, perché tra tutti, Luther era l'ultimo a meritare quel trattamento.
Lui mi osservò per un momento, e per mia fortuna, un'espressione di comprensione si fece strada sul suo volto.

"Non preoccuparti, Maise," rispose con un tono rassicurante.

"I sentimenti di tutti erano alterati. Ci capiamo, siamo una famiglia, dopotutto."

Quelle parole, semplici ma cariche di significato, mi sollevarono leggermente il peso che sentivo addosso.
Bevetti l'ultimo sorso di bourbon, lasciando che il calore del liquore mi attraversasse, e poi mi allontanai, dirigendomi verso le scale.
Avevo bisogno di un momento per me stessa, lontano dagli sguardi e dalle emozioni che turbinavano al piano di sotto.
Il piano superiore era ancora più silenzioso e oppressivo, come se la casa stessa trattenesse il respiro.
Ogni passo risonava sul vecchio pavimento di legno, e l'eco sembrava amplificare il vuoto che sentivo dentro.
Decisi di fare un giro, lasciandomi guidare dai miei pensieri, attraversando corridoi che conoscevo fin troppo bene, ma che ora sembravano appartenere a un'altra vita.
Entrai nella mia vecchia cameretta, e subito il colore lilla delle pareti mi colpì, anche se ormai sbiadito dal tempo.
Nonostante tutto, i poster, i libri e i piccoli oggetti che avevo collezionato durante l'infanzia erano ancora lì, esattamente come li avevo lasciati. Sembrava che il tempo si fosse fermato in quella stanza, congelando quei ricordi come in una vecchia fotografia.
Mi sedetti sul mio vecchio letto, sentendo il leggero scricchiolio del legno sotto di me.
Le lenzuola bianche erano morbide al tatto, come se qualcuno le avesse cambiate di recente.
Mi persi nei miei pensieri, tra le voci che non mi lasciavano mai davvero sola, quando notai una figura nella soglia della porta.
Diego era lì, appoggiato allo stipite, con lo sguardo fisso su di me.
Un silenzio tombale calò su di noi, riempiendo la stanza per cinque interminabili minuti.
Nessuno di noi due sembrava sapere cosa dire, come se ogni parola potesse rompere qualcosa di fragile che ci univa ancora, nonostante tutto.
Alla fine, decisi di parlare, rompendo quel silenzio soffocante.

"Rimarrai qui per tutta la sera?"
chiesi, cercando di alleggerire l'atmosfera, anche se la tensione era palpabile.

Diego mi guardò intensamente, il suo sguardo carico di qualcosa che non riuscivo a decifrare del tutto. Poi, senza muoversi dalla porta, rispose con un tono freddo e distaccato,

"Dipende," disse con quel tono che conoscevo fin troppo bene, un misto di sfida e vulnerabilità nascosta.
"Hai intenzione di entrare nella mia mente e manipolarmi?"

Rimase lì, le braccia incrociate sul petto, come se stesse ancora valutando cosa fare, senza lasciar trasparire alcuna emozione.
Non riuscivo a capire cosa gli passasse per la mente, ma c'era qualcosa nel suo modo di stare lì, che mi faceva sentire vulnerabile.
Era come se stesse aspettando che dicessi qualcosa di più, qualcosa che potesse dare un senso a quella distanza che si era creata tra di noi.

Diego e io abbiamo sempre avuto un legame complicato, intenso e profondo, un misto di affetto e incomprensioni che sembravano impossibili da risolvere. Ricordo ancora l'ultima volta che litigammo, poco prima che io lasciassi l'Accademia. Fu una discussione feroce, come un uragano che ci travolse entrambi.
Lui non voleva che me ne andassi, era convinto che, una volta uscita da quella casa, non sarei mai più tornata.
Credeva che fossi stanca di lui, che volessi liberarmi di tutto, incluso il nostro rapporto.
Ma non era così.
Non mi sarei mai stancata di lui, non davvero. Il problema era che quella situazione non era più sostenibile per me, ed entrambi lo sapevamo, anche se Diego non voleva ammetterlo.
Dovevo andarmene, ma non riuscivo a spiegarglielo senza ferirlo.
La discussione durò poco, troppo poco per risolvere qualcosa.
Le parole vennero sostituite rapidamente dai poteri.
Diego, accecato dalla rabbia e dalla paura, lanciò uno dei suoi coltelli con precisione letale.
La lama mi fece un taglio profondo lungo tutto il braccio destro, un ricordo fisico di quella notte che ancora porto con me.
In risposta, non mi trattenni.
Usai i miei poteri per eliminare molti dei nostri ricordi condivisi dalla sua mente, cancellando i momenti più felici che avevamo vissuto insieme.
Nel farlo, maledissi il giorno in cui fosse nato, accecata dalla mia stessa rabbia e dal dolore. Quella notte, ci siamo feriti entrambi in modo irreparabile, e quel legame speciale che avevamo è andato in pezzi.
Da quel momento, la distanza tra di noi non è stata solo fisica, ma anche emotiva.
Anche ora, mentre Diego sta in piedi sulla soglia della mia vecchia stanza, sento che quel divario è ancora lì, una ferita che non si è mai davvero rimarginata.

The eighth issueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora