Stagging.

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Rientrai in camera, finalmente sola, con un po' di tempo per rilassarmi e rimettere insieme i pezzi di me stessa.
Mi tolsi l'asciugamano e mi vestii con calma, sentendo ancora l'umidità dei capelli scivolare lungo la schiena.
Mentre cercavo di sistemarmi, lo sguardo vagò per la mia vecchia cameretta.
Era strano essere lì, un posto che non avevo mai immaginato di rivedere.
Gli oggetti che un tempo consideravo importanti erano ancora al loro posto, quasi fossero stati conservati apposta per me.
Iniziai a gironzolare per la stanza, aprendo vecchi cassetti, rispolverando frammenti di una vita che sembrava appartenere a qualcun altro.
Ogni tanto, trovavo qualcosa che mi riportava indietro, come una vecchia foto o un quaderno scarabocchiato con pensieri adolescenziali.

"Non pensavo che li avessi ancora."

La voce mi fece sobbalzare leggermente.
Mi voltai, trovando Cinque sulla soglia della porta, le braccia incrociate come sempre, il volto impassibile ma con quel tipico sguardo acuto, come se stesse analizzando ogni singolo movimento.
Non avevamo avuto molte occasioni di parlare da quando era tornato.
La fine del mondo aveva preso la priorità su tutto, lasciando poco spazio per le questioni personali.
"Cinque" lo salutai, cercando di nascondere il leggero disagio che sentivo nel rivederlo così, senza preavviso.
Era diverso, più maturo nonostante il corpo da tredicenne.
Ma gli occhi... quegli occhi avevano visto troppo, e portavano con sé una saggezza che solo il tempo e l'esperienza possono dare.

"Non pensavo che li avessi ancora"

Ripeté, riferendosi a qualcosa di specifico che avevo trovato.

Ma sapevo bene che la sua osservazione andava oltre quel semplice oggetto.
Parlava dei miei attacchi, di quei momenti in cui il controllo mi sfuggiva completamente.

"E invece ti sbagliavi"

Risposi con un pizzico di amarezza, abbassando lo sguardo.

Cinque mi osservò con uno sguardo che non rivelava nulla, ma sapevo che stava elaborando ogni mia parola.
Era sempre stato così: analitico, calcolatore, mai uno che si lasciava sfuggire un dettaglio.
Sapevo dove voleva andare a parare, e non mi piaceva.
Cinque si avvicinò di qualche passo, il suo sguardo diventò più penetrante, quasi severo.

"Com'è possibile dopo tutti questi anni? Dovresti essere padrona dei tuoi poteri ormai.
Non sono proprio un ricordo adolescenziale."

Sentii un nodo stringersi nel petto.
Era sempre stato diretto, Cinque, e non c'era niente che detestasse di più delle scuse.
Ma non era così semplice, non per me.

"Chi ha detto che li uso? Sai, Cinque, entrare nella testa delle persone dopo anni che non li usavo è più complicato di teletrasportarsi da una stanza all'altra."

La sua espressione non cambiò, ma percepii un lieve mutamento nella sua postura, come se stesse riflettendo su ciò che avevo appena detto.

"Sai cosa intendo"

Disse, il tono più morbido di prima ma ancora carico di quella frustrazione che riconoscevo bene.

"Non puoi semplicemente ignorare quello che sei. Sei una Hargreeves.
I nostri poteri sono una maledizione, certo, ma anche la nostra unica possibilità di sopravvivenza. Non puoi permetterti di rinunciare a ciò che sei."

"Sopravvivenza" ripetei, il termine risuonava vuoto nella mia testa.

"Cinque, non si tratta solo di sopravvivenza.
Si tratta di restare sani di mente.
Ogni volta che uso i miei poteri, sento di perdere un pezzo di me stessa, come se le voci stessero cercando di prendere il controllo. Non è solo una questione di potenza o abilità. È una battaglia interna."

The eighth issueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora