Too much.

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Anche se parlavamo, rimanevamo vicini, come se qualcosa di invisibile ci tenesse legati, una forza che né lui né io riuscivamo a spezzare.

"L'asciugamano è compreso nella tua tentazione di soffocarmi?"

Chiese Diego, con quel suo solito tono ironico.

Non potevo fare a meno di prevedere una battuta fuori luogo, dopotutto, era sempre Diego.

"No, però se vuoi posso metterla nella tua bara."

Risposi, lasciando affiorare un piccolo sorriso.

Gli occhi di Diego, che fino a un momento prima erano fissi su di me, si spostarono all'improvviso. Con un movimento fulmineo, mi spinse contro il muro, rigirando la situazione in un istante.
Mentre lo faceva, scagliò uno dei suoi coltelli con precisione letale, colpendo la gamba della donna che ci stava sparando.
Non c'era tempo per pensare.
Con una fretta disperata, lasciai la presa su Diego e mi avvicinai alla donna ferita.
Appoggiai la mano sulla sua gamba, lasciando che il contatto fisico mi permettesse di entrare nella sua mente.
Appena lo feci, un'ondata di immagini mi travolse: morti, sofferenza, innocenti e colpevoli, tutti confusi in una angoscia.
Era troppo, la sua follia contaminava i miei pensieri. Diego continuava a combattere contro di lei, ignaro della battaglia interna che stavo affrontando.
Sentii le gambe cedere, e caddi a terra, accasciandomi in un piccolo angolo.
Le mani premute contro la testa, cercavo disperatamente di fermare quel flusso di immagini e voci che mi stava annientando.
Ogni secondo passato nella sua mente era un tormento, un incubo da cui non riuscivo a svegliarmi.
Mi pentii immediatamente di essere entrata in quel pozzo senza fondo, consapevole di aver sottovalutato il pericolo.
La donna cadde dall'impalcatura di legno con un tonfo sordo, e Diego si rese subito conto di quello che stava succedendo a me.
Non perse un attimo, agendo come faceva quando eravamo piccoli, ogni volta che venivo sopraffatta dai miei attacchi.
Con delicatezza, sollevò la mia testa e la posò sulle sue gambe, stringendomi la mano con fermezza. C'era un'incredibile familiarità in quei gesti.
Sapeva che i miei attacchi erano rari, ma quando si manifestavano, potevano essere devastanti. Pericolosi al punto da richiedere tutta la sua attenzione e calma.
Sentivo il calore della sua mano nella mia, una costante in quel caos mentale che mi stava divorando.
La presenza di Diego, il suo respiro regolare, mi ancoravano alla realtà, impedendo alla tempesta dentro la mia mente di travolgermi del tutto.
Ogni secondo passato in quella posizione mi aiutava a ritrovare un briciolo di controllo, mentre lui rimaneva lì, immobile e paziente, come aveva fatto tante volte in passato.
Non disse nulla per tutto il tempo in cui mi stringeva la mano.
Non sapevo se mi stesse guardando, se fosse impanicato, preoccupato o semplicemente indifferente.
Con gli occhi chiusi, persa nelle grida incessanti delle voci nella mia testa, potevo solo immaginare la sua espressione.
Ma anche immaginare diventava difficile.
Il tempo passava lento, ogni battito del cuore accompagnato dal dolore che mi pulsava nelle tempie, mentre le voci si affollavano, sovrapponendosi l'una all'altra.
Eppure, nonostante il tumulto nella mia mente, la stretta di Diego rimaneva costante.
Era come se quella presa fosse l'unico filo che mi teneva ancorata alla realtà, impedendomi di sprofondare completamente nel baratro della mia stessa mente.
Dopo minuti che sembravano ore, finalmente riuscii a riprendere il controllo, forzandomi a riaprire gli occhi.
La luce della stanza sembrava troppo intensa, i contorni delle cose troppo nitidi, come se avessi risvegliato da un incubo solo per ritrovarmi in un altro.
Di fronte a me, proprio come lo avevo lasciato, c'era Diego.
La mia testa era ancora poggiata sulle sue gambe, e la sua mano stringeva la mia con una fermezza che non mi aspettavo.
Cercai di leggere qualcosa nei suoi occhi, di cogliere un segnale, un'emozione, ma non trovai nulla.
Il suo sguardo era fisso, imperscrutabile, come se stesse osservando una scena dall'esterno, senza lasciarsi coinvolgere. Alternava lentamente lo sguardo dalla nostra mano ai miei occhi, ma senza mai fare una smorfia, un sorriso, o qualsiasi altra espressione concreta.
Nei miei occhi, invece, si poteva ancora vedere il panico, la paura di essere stata sopraffatta dalle voci, di aver perso il controllo.
Era come se le nostre emozioni si trovassero su due piani completamente diversi, lui calmo e immobile, mentre io ero ancora sull'orlo del precipizio.
Eppure, nonostante quella distanza, la sua presenza in quel momento era tutto ciò di cui avevo bisogno.
Anche se Diego non mostrava nulla, il fatto che fosse lì, accanto a me, era più di quanto potessi chiedere.

Vedendomi sveglia, Diego tolse la mano dalla mia e io, lentamente, mi alzai dalle sue gambe, cercando di riprendere il controllo del mio respiro e dei miei pensieri.
Deglutii silenziosamente, ancora scossa, e mi sollevai del tutto, cercando di riordinare le idee che si accavallavano nella mia testa.

"Grazie." fu l'unica parola che riuscii a pronunciare.
Era semplice, quasi insignificante rispetto a ciò che avevo provato, ma era tutto ciò che avevo in quel momento.
Diego non rispose, fece solo un leggero accenno con la testa, un gesto che sembrava dire "non c'è bisogno di ringraziare".
Non era uno che si lasciava andare alle parole, preferiva l'azione.

"Andiamo a vedere come stanno gli altri, gli spari sono cessati."

Disse poi, con quella sua voce ferma e controllata, che sembrava quasi voler nascondere qualsiasi traccia di preoccupazione.
Non risposi, annuii solo e mi avviai per la strada che conduceva al salotto, dove gli altri si erano rifugiati.
Appena entrai nella stanza, l'atmosfera era densa, carica di tensione.
Luther era seduto su una poltrona, con una borsa di ghiaccio premuta contro la guancia gonfia.

"Perché ti stanno cercando, cinque?"

Chiese guardandolo.

Cinque, con il solito sguardo impassibile, rispose con la voce piatta:

"Fanno parte dell'agenzia dove lavoravo prima, è una storia lunga."

Allison, che sembrava visibilmente stanca di tutta quella situazione, sbottò.

"Potevamo morire."

La sua voce era carica di una stanchezza che non riguardava solo il corpo, ma anche lo spirito, logorato dalle continue minacce e battaglie.
Klaus, sempre pronto a stemperare la tensione con la sua irriverenza, alzò le mani come se fosse in pace con l'idea.

"Tecnicamente io rischio la morte quasi ogni giorno, quindi..."

Non ebbe neanche il tempo di finire la frase che Diego, con un'espressione di irritazione, lo interruppe bruscamente.

"Certo, per overdose"

Ribatté Diego, con voce carica di sarcasmo.
Klaus fece una faccia da finto offeso, come se il commento non lo avesse toccato.

"Che merda" mormorai, lasciando che quelle due parole esprimessero tutto il mio disappunto per la situazione.

Mi accasciai contro lo schienale del divano, cercando un momento di tregua.
Cinque, con il suo corpo da tredicenne ma con un cervello che aveva vissuto ben più di quello che il suo aspetto lasciava intendere, ci fissava con la sua solita aria inquisitiva.

"Vi ho visti solo all'inizio della battaglia, dove siete finiti per il resto del tempo?"

Chiese, con quel tono di chi vuole delle risposte precise e immediate.

La sua domanda colpiva nel segno, come sempre. Cinque non sapeva cosa fosse accaduto tra me e Diego negli ultimi sette anni, non sapeva del silenzio che ci aveva separati e del rancore che era cresciuto tra di noi.

"Ho avuto uno dei miei attacchi."

Dissi infine, rompendo il silenzio che aveva invaso la stanza.

Le parole uscirono quasi a fatica, pesanti, come se fossero cariche di tutto il dolore e il terrore che quegli attacchi portavano con sé.
Gli sguardi degli altri si posarono su di me, uno ad uno.
Nessuno disse nulla, ma l'espressione di ognuno di loro parlava chiaro.
Sapevano cosa avevo passato, conoscevano la gravità dei miei attacchi.
Nessuno osava fare domande, nessuno osava chiedere di più.
C'era solo silenzio, un silenzio carico di una comprensione tacita, ma che non alleviava il peso che sentivo dentro di me.
Diego, che fino a quel momento era rimasto in disparte, abbassò lo sguardo.
Forse in quel momento capiva quanto la nostra distanza, quella che lui stesso aveva alimentato, mi avesse colpito.
Ma, come sempre, non disse nulla.

The eighth issueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora