Nel riflesso con disprezzo guardarsi,
con le lacrime agli occhi ripudiarsi,
l'immagine che malamente vedo,
volente sono sia coperta da velo.Odio per quell'esile e arsa figura,
che dinanzi lo sguardo sentenziante,
più che sana divien storpiatura.Livore per quella forma orripilante,
che paragonata alle altre ribrezzo mi dà,
e più che decisa divien esitante.Ti odio, ma sono stanco di farlo,
vorrei amarti, ma non so come darlo,
vorrei abbracciarti, ma mi rifiuto di dirlo.P.S.
È un'opera che ho abbozzato ieri sera, in preda ad un crollo emotivo dato dalla bassa autostima che mi devasta.
Non sono stato attento a particolari versi, figure retoriche o strutture, poiché non è questo il senso di questa poesia; non è uno scritto dato per mostrare una particolare proprietà di linguaggio o per riesumare il modo di scrivere dei poeti, oramai datati, che tanto amo e ammiro, ma è uno sfogo, un grido di aiuto, una bandiera bianca per tutte le avversità che questa vita sta riservando a me e a tante persone che hanno subito altrettanti traumi scaturiti in ciò.
Le mie poesie si dividono in due gruppi, quelle scritte per "otium letterario" e, come questa, quelle scritte come valvola di sfogo per un sentimento interiore che è andato eccessivamente oltre da quello che credevo fosse un limite.
Nessuno dei due è superiore all'altro, c'è chi può preferire uno in particolare, è normale che sia così, ma la bellezza di uno scrittore e, specialmente, di un poeta, sta proprio nella capacità di saper mutare il proprio stile in base agli argomenti trattati, soprattutto se molto vicini alla persona medesima.