Coca-cola

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Akuma

Il secondo tempo inizia con un'energia rinnovata, ma l'atmosfera è tesa. Il Meiwa e il Nankatsu sono entrambi determinati a vincere, e i giocatori danno tutto quello che hanno. Nonostante il tifo scatenato, non riesco a togliermi dalla testa la noia che mi pervade. Masaru e Takeru sono in piedi sui sedili, urlando a squarciagola, mentre Naoko si agita accanto a me, tutta presa dal gioco.

Il gioco si intensifica e, quando il Nankatsu segna il gol del pareggio, portandosi sul 2-2, lo stadio esplode in un boato. Nonostante la tensione, mi sento ancora annoiata, quasi sul punto di addormentarmi. Ma qualcosa dentro di me mi tiene sveglia. Forse è la curiosità per quel portiere con il cappellino rosso, Genzo, o forse è solo la speranza che questa interminabile partita finisca presto.

Quando il tempo regolamentare si conclude in parità, si va ai supplementari. I giocatori sono stremati, e si vede chiaramente che stanno dando tutto.

Poi arriva il momento decisivo. Un'azione rapida del Nankatsu porta al gol del 3-2. Il Meiwa è sotto di un punto e il tempo sta per scadere. Vedo Kojiro correre disperatamente in attacco, ma non c'è niente da fare. Il fischio finale arriva, e con esso la sconfitta del Meiwa.

Tutto intorno a me si fa silenzio per un istante, poi sento Naoko e gli altri piccoli Hyuga iniziare a piangere. Anche mamma sembra delusa, ma cerca di confortare gli altri. Io, invece, tiro un sospiro di sollievo. Finalmente è finita. Non vedo l'ora di andarmene da questo posto.

Le famiglie vengono invitate a scendere in campo per raggiungere i loro cari, e io accompagno mamma e gli altri verso Kojiro. Quando lo vedo, il suo volto è una maschera di frustrazione, ma cerca di mantenere la calma per non deludere nessuno. Prima che la situazione diventi troppo emotiva, mi avvicino a mamma e le sussurro all'orecchio: "Aspetto fuori, va bene? Non ho voglia di stare in mezzo alla folla."

Lei annuisce, un po' distratta, e io mi allontano rapidamente. Esco dallo stadio, godendomi l'aria fresca e il silenzio lontano dalla confusione. Mentre mi avvicino all'uscita, noto qualcuno seduto su una panchina vicino agli spogliatoi. Si sta massaggiando la caviglia e borbotta parole che non riesco a distinguere. Lo riconosco subito: è Wakabayashi, il portiere del Nankatsu.

Mi fermo a pochi passi da lui e lo guardo per un momento, poi, con un mezzo sorriso, gli dico: "Ehi, guarda che non serve prendersela con quella povera caviglia stremata."

Lui alza lo sguardo, sorpreso di vedermi lì. "Che vuoi?" risponde, un po' bruscamente, mentre continua a massaggiarsi la caviglia. "È solo che... dovevo fare meglio."

"Già, magari," ribatto con sarcasmo. "Ma tirare maledizioni non cambia nulla."

Mi fissa per un attimo, poi sospira, rassegnato. "Forse hai ragione, ma fa male lo stesso. E non solo la caviglia..." La sua voce si spegne, come se non volesse ammettere quanto sia deluso.

Resto lì, incerta sul da farsi. Non sono abituata a consolare la gente, ma c'è qualcosa in lui che mi fa venire voglia di fare un gesto gentile, per una volta. Faccio un passo verso di lui e gli dico: "Aspetta qui." Mi dirigo verso una macchinetta automatica poco distante, inserisco qualche moneta e prendo una lattina di Coca-Cola. Quando torno, lui mi guarda con curiosità.

"Prendi," gli dico, allungandogli la lattina. "Mettila sulla caviglia. Funziona come ghiaccio."

Genzo mi osserva per un attimo, poi prende la lattina e la poggia sulla caviglia dolorante. "Grazie," mormora, con un tono un po' meno burbero di prima.

"Di niente," rispondo, scrollando le spalle. "Tanto non la volevo davvero."

Restiamo in silenzio per un momento, mentre lui si rilassa un po', la lattina che rinfresca la sua caviglia. Alla fine, lo vedo accennare un sorriso. "Sei qui per la partita? Qualcuno che conosci gioca?"

Annuisco, un po' riluttante. "Sì, mio fratello. Gioca nel Meiwa."

Gli occhi di Genzo si illuminano. "Abbiamo giocato una bella partita oggi."

Non so cosa rispondere, così mi limito a fare un mezzo sorriso. "Già. Ma oggi è andata così."

"Già," ripete lui. "Ma la prossima volta sarà diverso, lo sento." C'è una determinazione nel suo sguardo che mi sorprende. Nonostante tutto, non sembra affatto sconfitto.

"Buona fortuna allora," gli dico, mentre mi avvio verso l'uscita. "Spero che la tua caviglia guarisca in fretta."

Lui annuisce, mentre si mette in piedi, zoppicando leggermente. "Grazie. E grazie per la Coca-Cola."

Mentre me ne vado, non posso fare a meno di pensare che, forse, non tutti quelli che giocano a calcio sono così male. 

Il viaggio di ritorno a casa è lungo, e siamo di nuovo tutti stipati nel camion di frutta. Kojiro, Takeru, e Masaru non hanno mai smesso di parlare della partita, rivivendo ogni singolo momento. Takeru, con la sua voce eccitata, continua a chiedere a Kojiro come ha fatto quel tiro spettacolare, mentre Masaru prova a imitare i movimenti che ha visto sul campo, muovendosi in modo goffo sul sedile.

Naoko e mamma ascoltano sorridenti, intervenendo ogni tanto per fare qualche domanda o per elogiare Kojiro. L'atmosfera è vivace, piena di energia, come se la stanchezza della giornata fosse scomparsa.

Io, invece, sono seduta un po' in disparte, con lo sguardo perso fuori dal finestrino. Le luci della strada scorrono rapide, e il rumore delle voci dei miei fratelli è un sottofondo continuo che non sembra mai fermarsi. Tutto quello che riesco a pensare è quanto sia stata una rottura di scatole tutta questa giornata.

Alla fine, non resisto più e sbotto: "Che rottura di scatole. Tre ore di viaggio per vedere una partita che alla fine avete pure perso."

Kojiro si volta verso di me con un sorriso ironico. "Stai zitta, Akuma. Non ti è piaciuto, eh? Ma quando parlavi con quel figlio di papà, non sembravi così annoiata."

Lo guardo torva, il sangue che inizia a ribollire nelle vene. "Non cominciare, Kojiro. Non è affar tuo con chi parlo."

Lui scuote la testa, divertito dalla mia reazione. "Ah, sì? E allora perché sei andata da lui? Volevi fare l'amica del portierone, eh?"

"Ma piantala!" rispondo, alzando la voce. "Non è che mi interessi qualcosa di quel tipo. Ero solo stanca e..."

"Stanca, sì, certo," mi interrompe lui, con quel tono che odio. "Non sai proprio come ammettere quando qualcosa ti piace."

Inizia così, con uno scambio di battute che rapidamente degenera in una vera e propria lite. Le parole volano, i toni si alzano, e presto siamo a un passo dal metterci le mani addosso. Mamma interviene più volte, cercando di calmarci, ma noi non la ascoltiamo. Takeru e Masaru si zittiscono, osservando la scena con occhi sgranati, mentre Naoko si rifugia accanto a mamma.

Finalmente, quando arriviamo a casa e ci sediamo a tavola per la cena, mamma perde la pazienza. "Basta, Akuma! E Kojiro, smettetela tutti e due. Non ne posso più delle vostre liti!" La sua voce è severa, e il suo sguardo non ammette repliche.

Sbuffo rumorosamente, incrocio le braccia e mordo il labbro per trattenere la rabbia. Non ho nessuna voglia di continuare a discutere, soprattutto davanti a tutti. Così, senza dire altro, mi alzo da tavola, lasciando il piatto mezzo pieno.

"Vado su in camera," annuncio, quasi con un tono di sfida. Mamma mi guarda, stanca, ma non dice nulla. Capisce che è meglio lasciarmi andare.

Salgo le scale a passi pesanti, e quando arrivo in camera mia, chiudo la porta con un colpo deciso. Mi getto sul letto, fissando il soffitto.

Non voglio vedermi amartiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora