Capitolo 5

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ELISABET

La mattina mi sono svegliata abbastanza presto perchè avevo un appuntamento con Grace.

È passata una settimana esatta dal mio compleanno. Sto decisamente meglio, ma per esperienza so di essere ancora molto vulnerabile. Da un momento all'altro potrei ritrovarmi a soffocare tra le mie stesse lacrime.

Quindi mi limito a dormire poco -in modo da evitare eventuali incubi- e fare molte cose produttive durante il giorno -cercando di occupare la mente-.

Stamattina sono riuscita a parlare del mio passato a Grace. È stato molto difficile, ma n'è valsa la pena. Mi sono liberata di un grosso mattone nel petto e in questo momento mi sento decisamente più leggera.

Adesso mi trovo allungata a pancia in giù sul letto. Le gambe piegate fanno su e giù alternandosi, mentre con la mano sinistra mi reggo il mento. La destra invece tiene la penna che vaga libera sul foglio sotto di essa. Scrivo quello che mi passa per la mente.

Ho iniziato a riportare sulla carta tutte le cose che penso sul mio passato, su Leo, l'orfanotrofio, la mia infanzia. Continuo a far andare avanti la mano lasciando impressi sentimenti e considerazioni.

Mi rivolgo ai miei. Vorrei potergli dire quello che sta succedendo da quando non ci sono più. Mi mancano parecchio e magari aggiornandoli sulle cose che sto affrontando ora li sentirò più vicini.
Anche se non sono qui con me desidero condividere con loro questi anni. Spero che ovunque siano possano essere fieri di me.

Una delle prime cose che mi sento di lasciare impresse su questo diario è l'amicizia tra me e Leo. Penso che sarebbero andati molto d'accordo lui e i miei.

Cari mamma e papà,
Sono arrivata in orfanotrofio cinque giorni dopo l'incidente. Come ben sapete sono sempre stata una ragazza timida, una di quelle che fatica a farsi degli amici.
Non nego che, una volta arrivata qui, avevo molta paura. A sette anni si ha paura di tante cose, del buio, dei mostri, dei tuoni. Io avevo paura delle persone. Una volta che ti affezioni a loro, sono le prime a lasciarti. Proprio com'è successo con voi. Sia chiaro non ve ne sto facendo una colpa, è solo che mi mancate e anche parecchio. Mi chiedo spesso se un giorno vicino o lontano riuscirò a riabbracciarvi, a stringervi a me e non lasciare che qualcosa ci separi di nuovo.
Varcato l'ingresso non avevo intenzione di fare amicizia. Almeno, questo era quello che pensavo prima di incontrare Leo. Allora aveva appena nove anni, ma era tale e quale a com'è oggi. Gli occhi verdi e i capelli rossi e ricci. Le lentiggini presenti su tutto il viso e il suo fare dolce e comprensivo. È sempre stato un ragazzo in gamba, disposto ad aiutare gli altri, al costo di sacrificare se stesso.
Mi ricordo che si è avvicinato a me e ci siamo messi a parlare. All'inizio l'unico mio pensiero era scappare, fuggire prima che si legasse a me, che qualcosa si instaurare tra di noi. Ma forse era proprio quello che doveva succedere.
Con lui gli anni qui sono passati piuttosto velocemente. È stato l'unico a riuscire a strapparmi una risata, quando neanche mi ricordavo cosa si provasse davvero a essere felici. Siamo cresciuti insieme, sono passati parecchi anni dal quel giorno. Eppure il ricordo di questo incontro è ancora impresso nella mia mente, come se fosse accaduto ieri.

Sento la porta aprirsi. Lascio cadere la penna a terra, mentre chiudo di fretta il diario.

"Ciao Betty"
Mi porto a sedere, poggiando il quaderno sul tavolo di fianco al letto.

"Buongiorno Signora Brown" La guardo confusa "Come mai qui?"
Spalanca la porta rivelando due signori dietro di essa.

"Loro sono Jessica e Andrew Harbor"
La guardo più confusa di prima.
"Vorrebbero prendere in affido una ragazza sui 14/15 anni" Si spiega vedendo la mia faccia perplessa.
"Volevo farteli conoscere"

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