Capitolo 1

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ELISABET

Tock tock, qualcuno bussa alla porta. Penso di sapere chi sia.

Ho lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi pieni di lacrime. Sono seduta sullo spigolo del letto, le mie braccia cingono le gambe piegate, dove è appoggiato il mio mento bagnato a causa del pianto.

Tiro su col naso prima di rispondere qualche secondo dopo.
"Che vuole?" Domando con la voce roca e distante, con l'intento di non far trasparire alcuna emozione. Sebbene i singhiozzi continuano a interrompere le mie parole.

"Betty, volevo sapere solo come stavi?"
Le lacrime continuano a scendermi a dirotto e non so come cazzo fermarle.
La porta si apre ed è solo allora che mi volto.

"Ehi, non ti va di scendere? I tuo amici ti stanno aspettando, hanno dei pensieri per te"
E' di nuovo la Signora Brown a parlare, ma questa volta con la voce più dolce e comprensiva.

Le si intravede da dietro la porta la faccia con i suoi capelli corvini, acconciati in una crocchia, e parte del vestito. Indossa un abito di un colore rosso sgargiante. Dalla gonna lunga sbucano i tacchi, anch'essi sui toni scuri, che la fanno sembrare molto più alta.

Dopo qualche istante di assoluto silenzio i miei occhi nocciola incontrano i suoi profondi come l'oceano, dello stesso colore della nebbia d'inverno.
Distolgo lo sguardo.
Nelle sue iridi vedo solo compassione nei miei confronti, cosa che io non voglio affatto. Quello che desidero è riabbracciare i miei genitori, dirgli che gli voglio bene o semplicemente rivederli per qualche istante. No di certo pena da parte sua.

"Se ne vada per favore" Rispondo io con la voce tremolante, non riuscendo più a nascondere tutte le contrastanti emozioni che provo in questo momento.

Fa una faccia rassegnata. Sta pian piano uscendo dalla mia stanza, quando si blocca sulla soglia. Prova ad aggiungere qualcosa, ma non riesce neanche ad aprire bocca che le chiudo la porta in faccia.
"Non oggi" Sussurro io da dietro la parete.

Provo una sensazione di lieve dispiacere nei suoi confronti. Dopotutto non è lei ad aver causato tutto il dolore che mi porto dentro. Piuttosto dovrei scaricare tutte le colpe su di me, ma questo già lo faccio. Mi sento uno schifo.

Torno a sedermi sul letto, ma non riesco a fare a meno di piangere.
Le lacrime iniziano a rigarmi il volto per poi cadere sulle fotografie che ho in mano. Nella prima ci sono io con i miei genitori, papà mi tiene sulla spalle, mentre mamma mi fa il solletico. Pagherei per riavere quella felicità. Pagherei per passare un solo altro giorno assieme a loro.

Odio il mio compleanno. Odio festeggiarlo. Odio il suo arrivo e i giorni che lo precedono.

Mi capita spesso di pensare che se solo non fossi andata a quella stupida festa i miei genitori sarebbero ancora qui con me. Non sarei costretta a vivere in questo orfanotrofio di merda, al posto che in una casa al caldo coccolata dalla cosa a me più cara, ormai persa.

Inevitabilmente mi riviene in mente quel 27 gennaio di ben 8 anni fa. Era il mio settimo compleanno, fuori nevicava e io ero felice. Ero felice di festeggiare quel giorno insieme ai miei amici.
Mi ricordo che eravamo in macchina, mamma rideva e papà guidava. Mi stavano accompagnando alla pizzeria, dove si sarebbe dovuta svolgere la festa.
La strada era ghiacciata e la neve bloccava la visuale, mio padre perse il controllo dell'auto...

"El, posso entrare?"
Una voce mascolina mi riporta alla realtà, lasciandomi alle spalle quel ricordo troppo doloroso per una ragazza di soli 15 anni.

Mi asciugo le innumerevoli lacrime presenti sul mio viso con le maniche del maglione, metto via le foto e mi giro verso la porta.

"Si Leo, entra pure" Gli rispondo io, cercando di non fargli notare la mia voce debole a causa del pianto.
Sento la porta aprirsi e un ragazzo dai ricci rossi e le lentiggini sul viso venire verso di me.

"Ehi cos'è quella faccia, non sei contenta di vedermi?" Mi dice col sorriso stampato sulle labbra. Non so come faccia ad essere sempre così felice, anche lui ha un passato doloroso alle spalle, eppure riesce sempre a strapparmi una risata.

"Ti ho portato questo" Aggiunge, mentre da dietro la schiena, prende unl piccolo pacchetto incartato con fogli di giornale.
"Grazie, non dovevi" Gli dico mentre lo prendo in mano.
"Dai aprilo"
Subito tolgo con cura la carta.
"E' stupenda, grazie" Affermo con gli occhi fissi sulla collana all'interno della piccola confezione. Appeso ad un anello c'è un ciondolo a forma di E.

Leo è l'unico in grado di capirmi. Con lui riesco, per qualche istante, a non pensare a quel maledetto giorno dove la mia vita ha iniziato a precipitare. Dove, per colpa mia, ho perso tutto.
Adesso lui è l'unica cosa che ho. Quella per cui lotto. Quella per cui vado avanti.

Quando sono arrivata qui, in questo posto triste e malandato, lui era la luce. Colui che, pur avendo un passato più che doloroso alle spalle, metteva gli altri al primo posto.
È stato il primo a parlarmi. Il primo a voler veramente conoscermi.

La sua luce, proprio come un faro, è riuscita ad illuminarmi la strada per scappare dal dolore che pian piano stava occupando tutto il mio cuore. Ho seguito con fiducia quel bagliore, fino a raggiungere la riva, dove, nonostante il mare di sofferenza che mi ritrovo ancora davanti, mi sento al sicuro.
Tuttavia basterebbe un filo di vento per agitare il vasto dolore che mi circonda, portandolo da un momento all'altro a sommergermi. Riaprendo quella ferita troppo dolorosa.
E se non festeggiare il mio compleanno è un modo per tenere a bada il mare di emozioni intorno a me, sono pronta a sacrificare questo giorno. Perlomeno fin quando la ferita impressa nel mio cuore non si chiuderà -sempre se riuscirò a far si che guarisca- lasciando spazio a una cicatrice che inevitabilmente porterò con me a vita.

***

Io e Leo stiamo parlando da circa mezz'ora. Riesce sempre a tirarmi su nei momenti no. Sebbene io ci metta tutta me stessa per rimanere sul fondo, schiacciata dal mio passato.

Le nostre conversazioni non sono così interessanti. L'argomento fisso è quasi sempre l'orfanotrofio. Ci scambiamo opinioni su quanto questo posto faccia schifo. Di quanto la Signora Brown, sebbene si sforzi a fare quella carina e gentile, resta sempre una lagna.

Sono al corrente del fatto che ci siano molti altri argomenti più allegri di questo. Ma ogni santa volta che proviamo a discutere di qualcosa di diverso, il dialogo si conclude sempre con protagonista questo cazzo di orfanotrofio. Ed è tutta colpa mia se sono finita qua. Quanto mi odio!

"El io adesso devo andare" mi dice Leo, dopo aver parlato per circa un altro quarto d'ora di questo maledetto posto, dove sono rinchiusa da ormai otto anni.
Annuisco col capo, non degnandolo neanche di una risposta.
"Vado da Jade, le ho promesso di insegnarle a giocare a calcio" dice "Se hai bisogno io sono giù"
Dopodiché apre la porta e se ne va.

Non l'ho salutato e nemmeno ringraziato per avermi fatto compagnia in questa mattinata.
Odio questo mio atteggiamento da menefreghista con lui. Questo giorno può fare anche schifo ma perchè devo comportarmi così con Leo?

Non riesco mai a dirgli che gli voglio bene. Farei di tutto per lui, ma non so perchè non riesco a dimostrarglielo.
La mia vita è un totale disastro, ma la sua? È qui da quando aveva tre anni. Mi sento così in colpa a scaricare tutto il dolore che ho addosso sulle sue spalle, quando lui probabilmente ha provato il triplo della sofferenza che mi porto io dentro.

Forse dovrei parlargli e dirgli che con me può essere sincero. Se c'è qualcosa che non va può raccontarmelo per affrontarlo insieme.
Tuttavia è sempre così felice e non riesco a capire se ha superato il suo passato o dentro di sé si sta rompendo in mille pezzi.

Angolo autrice❤️

Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto:)

Aspettatevi un pov di Leo.

Ciaoo🫶🏻

FORGET to move forwardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora