Capitolo 6

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età: 15 anni

Un fulmine squarciò il cielo, illuminando per un breve attimo l’oscurità che la notte portava con sé. Il potente rumore del tuono fece sobbalzare la giovane Delilah, che se ne stava seduta a terra.

Con la schiena poggiata alla porta e la testa abbassata sulle ginocchia portate al petto, ella piangeva. Teneva le mani sulle orecchie, per attenuare i suoni causati dalla tempesta e quelli che provenivano dall'interno della casa. Le sue dita erano scosse dai tremori, così come l’intero corpo, ma non era dovuto al freddo. Era sconvolta e terrorizzata. Sì, aveva paura di aver appena distrutto la sua stessa famiglia.

L’acuta voce della madre attraversava la porta e si percepiva tutta la sua furia e la sua delusione. James invece, non fiatava. Non urlava, né tantomeno cercava di giustificarsi. Ciò non fece altro che peggiorare il turbamento di Delilah.
Un altro suono sordo partì dall’esterno e la ragazza si rannicchiò ancora di più. Fin da bambina il temporale l’aveva sempre spaventata e, detestava ammetterlo, ma quando accadeva ancora si rifugiava dai suoi genitori. Però, in quel momento dovette mettere da parte il suo egoismo e  cominciò a odiare profondamente quel tempo meteorologico.

«Basta», sussurrò, consapevole che nessuno potesse sentirla e fare qualcosa per lei. Ad aggiungersi allo scroscio della pioggia e allo schiamazzo provocato da Bridget ci fu un tonfo, seguito da un oggetto che andava in frantumi.

Delilah sentì l’esigenza di allontanarsi, di fuggire dai suoi stessi errori e, mossa da quella necessità, fece scivolare la mano fino a raggiungere il pavimento freddo. Si diede la spinta malgrado il braccio tendesse a cedere e si mise in piedi. Passò dinanzi allo specchio che da poco aveva acquistato e lanciò un’occhiata al suo riflesso.
La crocchia era disfatta e alcune ciocche sfuggite dall’acconciatura le ricadevano sulla fronte. Le guance, leggermente arrossate, erano lucide a causa delle lacrime che si erano cosparse sulla pelle, arrivando persino a ricoprire il piccolo neo che aveva sul labbro superiore.

Scosse la testa e si diresse verso l’armadio. Aprì le ante e vi scavò all’interno, mettendo alla rinfusa i vestiti finché non trovò una felpa, che infilò sopra i vestiti che già indossava. Alzò il cappuccio sulla testa e camminò verso l’entrata della camera.
Con cautela, tentando di non emettere alcun suono, aprì la porta. Le urla disperate della madre si fecero più forti e intense. «Come hai potuto, James? Come?» Ancora una volta, Bridget non ricevette alcuna replica. I singhiozzi interruppero ogni suo gesto e dovette aggrapparsi al ripiano dell'isola per non cadere al suolo. Bridget strinse gli occhi, ma le lacrime non cessavano, così come il dolore al petto.

Le ginocchia erano deboli, ma rimase in piedi per dimostrare la sua forza. «Rispondimi», continuò con voce più sconnessa e flebile.

Quella scena impietosì la figlia, che in quel momento più che mai, si convinse ad uscire. Cosciente che nessuno dei due se ne sarebbe reso conto, attraversò il corridoio che portava all’atrio e, senza rifletterci un secondo in più, spalancò la porta d’ingresso per uscire di casa.

Una folata di vento le colpì il viso. Delilah si strinse nella felpa blu e infilò le mani all’interno delle tasche, dopodiché proseguì verso l’unico luogo che le venne in mente.
La pioggia si mischiò alle lacrime copiose e ogni tessuto le si appiccicò alla pelle fradicia. Passo dopo passo fu percossa dai tremori dovuti al freddo e all’agitazione. Il vento soffiava forte e per due volte di seguito il cielo scuro fu contrastato dal lampo bianco. Sentì il tuono fin dentro le viscere e, presa dalla paura, aumentò il passo. L’unico lato positivo di quella serata era che l’abitazione di Aiden fosse vicina alla sua. Infatti ci vollero pochi minuti prima di intravedere le mura accoglienti di quella casa.

Gli alberi dai tronchi sottili si inclinarono a causa della corrente d’aria e lei camminò controvento pur di raggiungere l’unica persona su cui poteva contare in quel momento. Nel momento in cui raggiunse la porta, suonò il campanello senza rimuginare sul fatto che fosse tardi e la melodia rieccheggiò all’interno delle stanze. Ci volle qualche secondo prima che qualcuno aprisse e quel qualcuno era un uomo. Alto, imponente e con l’aria severa, il padre di Aiden aggrottò la fronte confuso e rimase ancora più interdetto quando si ritrovò di fronte a una ragazza dall’aria scossa e frastornata. Nell’istante in cui la riconobbe, le sue spalle ebbero un sussulto. «Delilah! Per l’amor del cielo, entra», si scostò di lato per far passare la ragazza, che sollevò le sopracciglia stupita nel vedere quell’uomo.
Non sapeva fosse tornato. John - da lui Aiden prendeva il secondo nome - lavorava in un’azienda che prevedeva lo spostamento dei dipendenti e lui, ogni volta che riceveva una proposta, partiva. Delilah aveva sempre creduto che fosse un modo per evadere dalla realtà, perché nonostante adorasse suo figlio, non era mai riuscito ad accettare la sua neurodivergenza.

Una vita a metàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora