Capitolo 23

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Presente

Mamma si era arrabbiata. Tantissimo. Aveva mostrato le sue emozioni per mezz'ora, urlando e inveendo contro di me.

Poi basta.
Silenzio.

Dopo tutta quella rabbia, l'aria si era fatta immobile. Aveva smesso di gridare, di scagliarmi contro le occhiate furiose che prima mi trafiggevano come lame affilate. Anche le parole, così taglienti fino a poco prima, erano svanite nel nulla. Il suo volto, che era stato una mappa di emozioni incandescenti, era divenuto vuoto, quasi impenetrabile.

Aveva iniziato a ignorarmi.

Il silenzio tra noi non era una semplice pausa; era un muro, freddo e invalicabile. Ogni tentativo di riconnettermi con lei cadeva nel vuoto, come un eco senza risposta. Mi rendevo conto che, forse, la sua rabbia era stata più facile da affrontare del gelo che l'aveva sostituita.

Era passato qualche giorno. La mia sospensione si era conclusa ed era arrivato il fine settimana. Avevo appena finito di prepararmi quando la trovai intenta a piegare il bucato. Teneva i capelli legati in maniera disordinata, e anche da lontano potevo notare le profonde occhiaie sotto le palpebre gonfie. Sembrava stanca, quasi esausta, come se non dormisse da troppo. Il mio cuore iniziò a battere più forte mentre, con cautela, mi avvicinai. Ogni passo era carico di incertezza, ma non riuscivo a staccare gli occhi da lei.

«Ehi, mamma», la richiamai, interrompendo quel silenzio carico di tensione. Zero. Nessun guizzo nel suo volto, nessun muscolo irrigidito. Il suo viso era privo di espressione, impassibile, come se ogni emozione fosse stata completamente assorbita o nascosta.

«Sto per uscire, papà mi ha chiesto di vederci. Per te va bene?» Non che mi aspettassi davvero una risposta, ma il fatto che non mi avesse nemmeno messa in punizione mi turbava profondamente. Era come se avesse deciso di ignorare completamente ciò che era successo, e questo mi feriva più di qualsiasi rimprovero. L'indifferenza che mostrava mi faceva sentire invisibile, e questo pensiero cominciò a stringermi il petto.

Le lacrime che avevo trattenuto in quei giorni, cominciarono ad accumularsi negli occhi, offuscandomi la vista. «Mamma...»

Ancora una volta, non reagì. Il petto faceva male, quel silenzio mi logorava. Avevo semplicemente cessato di esistere. «Ti prego. Fai qualsiasi cosa: urla, arrabbiati, dammi uno schiaffo se vuoi. Però non ignorarmi, non fingere che io non ci sia». La gola mi bruciò mentre cercavo di far uscire quelle parole, come se ogni sillaba fosse impastata di dubbi. Uscirono insicure e tremanti, tanto che quasi non sembravano appartenere a me. Sentivo la voce spezzarsi a ogni tentativo, e il nodo che avvertivo rendeva tutto ancora più difficile.

Solo allora sollevò lo sguardo per incrociarlo con il mio. Anche le sue iridi erano coperte da una patina di lacrime. Smisi di respirare, tentando di prevedere la mossa successiva. Posò la maglietta che stava piegando sullo schienale della sedia e fece ricadere le braccia lungo i fianchi.

«Quando ho ricevuto la chiamata dalla scuola, mi sono sentita un fallimento come madre», confessò. Sussultai nell'udire la voce gracchiante, intrisa di sentimenti contrastanti. Feci un passo avanti, mentre scuotevo la testa in segno di negazione. «No, non è vero. Tu sei davvero la migliore al mondo. Mi hai fatto anche da padre per qualche anno; come potresti essere un fallimento?»

Sdrusciò la sedia sul pavimento e si lasciò cadere su di essa, sconsolata. «Non sapevo come reagire. Non so come ci si comporti da madre, non ho avuto un buon esempio. Ho semplicemente evitato di essere come lei».

«E ci sei riuscita alla perfezione», dissi, avvicinandomi. Mi misi in ginocchio, davanti alla sua figura, per poterla guardare negli occhi. Non avevo mai conosciuto mia nonna materna, e lei non aveva mai desiderato di vedermi. Non era mai stato un problema per me. I genitori di mio padre, per il poco tempo che me li sono goduti, hanno compensato qualsiasi tipo di mancanza. Senza contare che mi bastava l'amore immenso di mamma e di papà.

Una vita a metàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora