capitolo 20

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Presente

«È delizioso, mammina. Proprio come te», le feci un occhiolino, addentando quell'orribile muffin ai mirtilli.

La donna mi fissò con un cipiglio pronunciato, le sopracciglia aggrottate e le labbra sottili, serrate in una linea tesa. «Inizi a farmi paura, Delilah. Sul serio», commentò con voce atona, scatenando un mio sorriso. Aprii la bocca per addolcirla con altre moine, ma mi interruppe.

«La società ha accettato di collaborare con degli istituti di ricerca medica. Dovrò documentare le diverse procedure e se l'incarico andrà bene, mi alzeranno di livello». Mi bloccai con il dolce a mezz'aria e le briciole sparse sulle labbra. Sgranai le palpebre e non fiatai, completamente immobilizzata. Mi riscossi nel momento in cui mi resi conto che non mi stesse prendendo in giro.

«Dici sul serio?» Le domandai con la bocca ancora piena. Mi fissò con uno sguardo dolce e, orgogliosa, annuì. «Ci pensi? Non dovrò più impazzire per le bollette e, chissà, magari ci faremo una vacanza altrove».

Il suo entusiasmo scatenò il mio sorriso. Mi pulii le labbra e posai il mento sul palmo della mano. «E dove vorresti andare?»
«Non so...Islanda, Norvegia? O forse in luoghi più caldi, di freddo qui ne abbiamo fin troppo. Bahamas!» La guardai, allegra. Stava viaggiando con la fantasia, ma era una tipa determinata: sarebbe riuscita a raggiungere il suo obiettivo.

«Andrai alla grande e riuscirai a salire di livello. E sai perché?» Le palpebre le si assottigliarono e le labbra, prima distese, si ritrassero. Sapeva cosa avrei detto. «Sei la migliore al mondo, ecco perché. Te l'ho mai detto?»

«Se ti tirassi qualcosa in testa, torneresti in te?»

Scoppiai a ridere e lei si arrese, concedendomi un piccolo sorriso. «Guarda che so perché sei tanto felice».

Mi ammutolii per un attimo e posai il muffin sul tavolo. Le lanciai qualche occhiata di soppiatto. «Che ne sai?»
Si lasciò sfuggire una lieve risata, quasi impercettibile, mentre si alzava con un gesto fluido. Si allontanò, prima di rispondere. «Mica sono stupida!» esclamò dall'altra stanza.

«Due gio- perché c'è Aiden fuori la porta, ma non suona?» Si interruppe da sola e tornò indietro con aria interrogativa.

Guardai l'orologio appeso alla parete. «Ha detto che sarebbe stato qui alle nove in punto. Mancano due minuti», scrollai le spalle.

Mamma scosse la testa e non fece domande, rimettendosi a sedere di fronte a me. Mise un gomito sul tavolo e posò il mento sul palmo della mano. «Dicevo: due giorni fa ti ho lasciata qui a rimuginare con aria totalmente negativa e quando sono tornata eri pimpante. Hai persino lasciato una generosa mancia al fattorino, ringraziandolo per il suo prezioso lavoro, come hai detto tu. Poi, diciamoci la verità, i miei dolci ti hanno fatto sempre schifo».
Non seppi come rispondere. I suoi dolci continuavano a non piacermi, in realtà. E mi dispiacque non averle detto subito quel che era successo tra me e il mio ragazzo.

Mi strinsi nelle spalle. «Ci sono state incomprensioni tra me e Aiden, poi le abbiamo chiarite». Bevve un sorso d'acqua e notai come nascondesse un sorrisetto dietro il bicchiere. «L'hai assalito di nuovo?»

Sentii il mio viso prendere fuoco al ricordo di noi due, stretti l'una all'altro. Scossi la testa in segno di negazione. «Penso sia stato lui ad assalire me».

In quel momento, il campanello suonò. Mi alzai in fretta, e il rumore della sedia che strisciava contro il pavimento si elevò in modo irritante. Con passi decisi, ma non troppo rapidi, mi diressi verso l'atrio. «La prossima volta, butta la spazzatura della tua camera!» Esclamò a voce alta, per essere certa che sentissi bene.

Una vita a metàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora