Capitolo 7

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Presente

Un aroma intenso e pungente invase le mie narici, portandomi ad arricciare il naso. Mugugnai versi di lamentela e mi portai le coperte fin sulla testa, nella speranza di riaddormentarmi. Tuttavia, nel momento in cui i miei muscoli si rilassarono e materasso sembrava accogliermi di nuovo, la sveglia ruppe il silenzio.

Sospirai profondamente, espirando con stizza, e senza aprire gli occhi allungai un braccio verso il comodino. Con le dita tastai alla cieca finché non trovai il cellulare, e con un rapido tocco interruppi la fastidiosa melodia.
Con un gesto deciso sollevai lenzuola e piumone, mettendomi a sedere. La mia espressione assonnata si tramutò in una smorfia per il freddo del mattino che avvertii, ma resistetti e aprii gli occhi. La luce soffusa entrò nella mia stanza attraverso le tapparelle, illuminando lievemente ciò che mi circondava.

Restai seduta per un paio di minuti, cercando di prepararmi mentalmente alla giornata che mi attendeva. Poi, controvoglia, mi alzai dal letto. Indossai le mie calde e morbide ciabatte e mi incamminai verso la cucina, seguendo l'aroma del caffè che riempiva la casa. Appena entrai, la luce abbagliante del lampadario mi colpì, costringendomi a sollevare la mano per schermarmi gli occhi.

Dopo qualche istante, mi abituai alla luminosità e misi a fuoco la figura di mia madre, indaffarata a preparare la colazione, mentre lanciava occhiate veloci alla televisione accesa. «Ma guarda chi si rivede: la mia mamma preferita», le diedi il buongiorno a modo mio, con la voce ancora impastata.

Lei sobbalzò e si voltò nella mia direzione, con il manico della padella fra le mani. «Buongiorno, tesoro». Sorrise e io ricambiai, cercando di non scoppiarle a ridere in faccia per le sue condizioni che, in ogni caso, erano migliori delle mie. Mia mamma era sempre stata bella e lo era anche in quel momento, nonostante i capelli arruffati e l'aria stanca. «Sto facendo i pancake», mi informò.

Inarcai le sopracciglia e posai il palmo della mano su un fianco. «Stai provando a farli», la corressi. In risposta sollevò gli occhi al soffitto e si sistemò di fronte al fuoco, appoggiandoci sopra la padella. «Saranno deliziosi», affermò convinta.

Feci scorrere lo sguardo sul banco della cucina, sopra il quale erano posti tutti gli ingredienti che aveva utilizzato. Sospirai profondamente quando, tra le varie cose, notai qualcosa che non doveva esserci. Non vicino a lei, perlomeno. «Posso chiederti la quantità versata del prodotto in quel barattolo azzurro?»

«Due cucchiai. Forse tre», rispose.

Come temevo.
Sospirai pesantemente e, sconsolata, mi avviai verso il tavolo per sedermi su una delle sedie.

«Rivedrei l'opuscolo di quel corso di cucina».

«Perché?»

«È sale».

Sentii fin qui il modo in cui risucchiò l'aria tra i denti. Si immobilizzò e accennai un sorriso. «Li mangerò lo stesso», dissi.
«Devo aver confuso i barattoli», si giustificò.
«No, è che sei una frana ai fornelli».
«Ingrata», borbottò. Io ridacchiai, poi portai l'attenzione alla TV, ferma su un canale che trasmetteva le ultime notizie. Curiosa, afferrai il telecomando per alzare il volume e, per abitudine a causa di Aiden, mi soffermai su un numero multiplo di cinque.

Ascoltai con attenzione la notizia di un pluriomicida che, nella giornata di ieri, aveva sparato a raffica su una folla, senza avere un preciso bersaglio. I feriti erano quattordici e i morti tre; lui, invece, che aveva il volto coperto da un passamontagna, era riuscito a mettersi in fuga.

«Come può una persona uccidere sconosciuti a sangue freddo? È incredibile che adesso dobbiamo avere paura anche di uscire di casa», commentò mamma, intenta a impiattare la colazione. Sospirai, poi decisi di spegnere la televisione. «Se fossimo sempre impauriti non potremmo dire di star vivendo», ribattei, portando il discorso sul piano generale.

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