Drunk under a streetlight,

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La serata è finita e ci avviamo verso la macchina. Simone, con un sorriso un po' ebete, mi propone di andare a casa sua, ma io, pur preoccupata, accetto. Siamo entrambi un po' ubriachi per il vino, e io cerco di ignorare l'ansia che mi serpeggia.

Appena salgo in macchina e mi siedo, mi sento leggermente nervosa. Simone accende il motore e si avvia.

"Simone, metti la cintura di sicurezza," gli dico, tentando di sembrare calma.

Simone ridacchia e si volta un attimo verso di me. "Non preoccuparti, sono perfettamente in controllo," risponde con tono rassicurante, ma io non sono convinta.

Nonostante il tentativo di tranquillizzarmi, sento una crescente ansia. Le strade che stiamo percorrendo non mi sono familiari. Guardando fuori dal finestrino, mi rendo conto che non stiamo andando verso casa mia, ma verso una zona che non riconosco.

"Dove stiamo andando, Simone?" chiedo, la mia voce tradisce il mio crescente panico.

Simone non risponde subito, continuando a guidare. Mi giro verso di lui e vedo che siamo in direzione di casa sua. "Simone, fermati! Non volevo andare a casa tua! Dobbiamo tornare indietro!" urlo, il panico ormai in controllo della mia voce.

Simone, sorpreso dal mio urlo, si gira di scatto verso di me, cercando di capire cosa stia succedendo. La sua attenzione si sposta dalla strada e la macchina inizia a deviare pericolosamente dalla sua corsia.

In un istante, l'auto sbanda e collidiamo violentemente con un'altra vettura. Il rumore dell'impatto è assordante e l'auto sembra diventare un caos di metallo e vetro rotto.

Quando il mondo torna a un caos silenzioso, mi sento stordita e confusa. Simone sembra in uno stato di shock ma non ha subito gravi danni, sebbene sia visibilmente scosso.

"Evelyn!" urla, scuotendomi leggermente. Ma io non rispondo. I miei occhi sono chiusi e non riesco a svegliarmi. Il suo panico aumenta mentre cerca di capire cosa fare.

Le sirene della polizia e delle ambulanze iniziano a farsi sentire in lontananza, mentre Simone, tremante e con il volto pallido, cerca di restare calmo e attendere i soccorsi. Il pensiero di quanto sia andata male la serata si insinua nella sua mente, mentre cerca disperatamente di svegliarmi e di assicurarsi che io stia bene.

Non ricordo esattamente quando ho iniziato a sentire tutto sfumare, diventare opaco, quasi come una nebbia che si stendeva lentamente su ogni pensiero, su ogni sensazione. Il rumore dell'incidente si ripeteva nella mia mente come un eco, ma il mio corpo sembrava non rispondere più. C'era solo il buio, denso e profondo, che mi avvolgeva.

Il freddo dei corridoi dell'ospedale mi raggiunge attraverso una sensazione indistinta. Sento le mani degli infermieri che mi sollevano, mi sistemano sul lettino, le luci bianche e fredde che mi accecano per un istante prima che tutto torni di nuovo sfocato. Mi sforzo di tenere gli occhi aperti, ma è come se non riuscissi più a farlo. C'è solo il peso schiacciante di quello che è successo, e il terrore che non riesco a scacciare.

Non riesco a parlare, non riesco a muovermi. Ma posso sentire. Il bip incessante delle macchine intorno a me, la sensazione fredda della pelle contro le lenzuola, e poi quella presenza vicina, come un'ombra che non riesco a ignorare.
Simone.

Non lo vedo, ma lo sento accanto a me. Il suo respiro è irregolare, come se stesse lottando contro qualcosa che non riesce a esprimere. Vorrei parlare, dirgli qualcosa, ma le parole non vengono. Invece, resto ferma, intrappolata in questo stato sospeso tra la coscienza e l'oblio, mentre i frammenti della notte continuano a tormentarmi.

Ogni tanto penso a come sarebbe stato diverso se solo non fossi salita in macchina con lui. Se avessi ascoltato quella sensazione di disagio, se avessi fatto qualcosa, qualsiasi cosa, per evitarlo. Ma ora è troppo tardi. Tutto ciò che resta è questo vuoto freddo, e il peso di ciò che non possiamo cambiare.

Wildest Dreams // 𝓢𝓲𝓶𝓸𝓷𝓮 𝓟𝓪𝓬𝓲𝓮𝓵𝓵𝓸Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora