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Il sabato scivola via nella solita monotonia. Mi sforzo di concentrarmi sul libro di storia, ma ogni riga è una battaglia. Nuvola, la mia fedele compagna, è come sempre accoccolata accanto a me, persa nel suo sonno sereno.

Sto per arrendermi e lasciarmi cadere sul divano. I compiti per casa dovrebbero essere illegali. Perché assegnare altri esercizi o pagine da studiare quando si potrebbe lavorare, tranquillamente, in classe?

Se un giorno, per caso, diventassi ministro dell'istruzione inventeró una legge che lo permetterà, in modo che siano tutti piú liberi:
niente compiti= niente stress.
Facile no?

Dopo due ore e mezza finisco di studiare e posso concedermi un pó di tempo libero. Sono già pronta a buttarmi sul letto, con un libro fra le mani, quando sento la voce di mia madre attraversare il corridoio.

<Lena, vestiti, dobbiamo uscire!>dice con quell’entusiasmo fastidioso che sembra riservare sempre per i momenti meno opportuni.

<Mamma, non mi va...> rispondo, già percependo l'ansia che si insinua sotto la pelle.

<Non accetto un ‘no’ come risposta. Muoviti e scendi, forza!>La sua voce si fa più decisa, il che per me è un chiaro codice rosso.

<È una sorpresa!>aggiunge, con un tono compiaciuto che non lascia spazio a repliche.

Le sorprese. Il solo pensiero mi dà i brividi. Non amo l’imprevisto, mi disorienta.

Mille domande iniziano a ronzarmi nella testa: Dove andremo? Chi incontreremo? E se faccio una delle mie solite figuracce?

Alla fine, mi alzo e mi trascino in camera. Davanti all’armadio mi blocco. Che dovrei indossare? Non troppo elegante, non troppo casual. Mi sento ridicola a preoccuparmi così tanto per un’uscita di cui non so nulla, ma non posso evitarlo. Opto per i soliti jeans e una felpa. Profilo basso, mi dico. Se nessuno mi nota, nessuno potrà giudicarmi. Posso farcela.

Quando scendo, mia madre è già pronta. Ha quel sorriso che mi fa venir voglia di scappare subito in camera.

<Finalmente! Dai, andiamo>, esclama, senza nemmeno darmi il tempo di rispondere.

Infilo le scarpe e la seguo fuori. Camminiamo in silenzio fino a che non raggiungiamo il parco dietro casa. Sono sorpresa di vederlo così pieno di gente: bancarelle, musica, luci colorate ovunque.

<Sorpresa! C’è una festa di quartiere!> annuncia mia madre, tutta soddisfatta, come se fosse una notizia straordinaria.

Una festa di quartiere? Avrei preferito restare a casa. Ma ormai sono qui, e non posso fare altro che fingere entusiasmo e sopportare.

Ci mescoliamo tra la folla e il mio unico pensiero è evitare ogni contatto visivo.

Mentre camminiamo noto che c'é molta gente, tra questi, vedo anche persone conosciute che mi salutano sorridenti e altri volti nuovi.

Poi sento una voce familiare.

<Lena! Tesoro, che piacere vederti!>Mi giro, sperando di essere stata chiamata per sbaglio, ma eccola lì: la signora Brown, la mia vicina. Mi guarda come se fossi una vecchia amica che non vedeva da anni.

<Oh, quanto sei cresciuta!> esclama con tono caloroso.

Abbozzo un sorriso, ma già sento l’imbarazzo montare dentro. Non passa molto tempo prima che tiri fuori uno dei suoi soliti aneddoti.

<Ti ricordi quando eri piccola e venivi sempre a casa mia? Dio, come ridevamo! Una volta ti sei messa i pantaloni al contrario e hai corso per tutta casa gridando di essere un supereroe! Certa gente non sà proprio evitare di mettersi in ridicolo> Sento una morsa allo stomaco. Ció che ha detto mi ha fatto male.. Eccome!

<Ma dai stavo scherzando!! > mi dà una pacca sulla spalla e ride rumorosamente, facendo girare parecchie persone che si trovano nelle vicinanze.

Il calore sale alle guance, e il cuore accelera. Cerco di sorridere come se fosse divertente, ma dentro vorrei solo sparire. Perché deve raccontarlo proprio adesso, in mezzo a tutta questa gente?

Prima che possa inventare una scusa per svignarmela, arriva accanto a lei un ragazzo. Avrà più o meno la mia età, forse un po’ più giovane. Capelli castani spettinati, occhi verdi brillanti e una felpa grigia semplice.

<Oh, eccoti qui! Samuel, ti ricordi di Lena? Ma certo che no, eri troppo piccolo! Dovreste fare conoscenza, tanto siete coetanei!>

Samuel sembra a disagio quasi quanto me. Si gratta la nuca e sospira. <Ehm.... ciao.>

<Ciao.... > rispondo piano. Le nostre madri si allontanano e continuano a parlare tra di loro, lasciandoci lì, proprio come temevo. Rimaniamo intrappolati in un silenzio imbarazzante.

Non só proprio cosa dirgli ,quindi, gli chiedo la prima cosa che mi viene in mente anche se scontata, per non sembrare antipatica.

<Allora....ti piacciono queste feste?>  cerco disperatamente di spezzare il ghiaccio.

Samuel ride, ma è una risata nervosa. <A dire il vero, non molto. Preferisco quelle dei miei amici >

Annuisco con forza. <Anch’io...> gli rispondo, anche se in realtà odio qualsiasi tipo di festa esista.

Ancora silenzio. L'ansia si accumula, sento il cuore battere più forte. Spero, disperatamente, che sia lui a dire qualcosa..e cosí fà.

<Che fai di solito nel tempo libero?>,mi chiede, mentre io torturo i lacci della mia felpa.

<Leggo... studio… cose così. E tu?>dico, già pentendomi della mia risposta noiosa e da secchiona .

<Gioco ai videogiochi ed esco a volte . Niente di speciale.>

Un altro momento di silenzio, poi lui aggiunge: <Mi dispiace per quello che ha detto mia madre. Del supereroe, intendo.>

Sorrido debolmente, cercando di far finta che non mi abbia ferito. <Non preoccuparti, succede spesso. È come se le madri vivessero per farci morire di vergogna.>

Lui ride, questa volta sinceramente, e per un attimo mi rilasso. Ma solo per un attimo. Il peso dell’ansia continua a crescere, sento il bisogno di andarmene prima di perdere completamente il controllo.

<Devo andare adesso, scusami ci vediamo...>dico velocemente salutandolo con un gesto della mano, senza neanche voltarmi per vedere la sua reazione, prima di sparire tra la folla.

Il mio cuore batte più lentamente ora, mentre mi lascio tutto alle spalle e ritrovo finalmente un po' di pace.

Mi sento come una bomba a orologeria. Non posso stare con le persone per troppo tempo senza sentire che qualcosa dentro di me sta per esplodere. È come se ogni secondo accumulassi più ansia, finché l’unica soluzione è allontanarmi.

Mentre mi riprendo, mia madre mi trova. <Lena! Ti ho cercata ovunque, è ora di tornare a casa... A proposito, non stavi parlando con il figlio della signora Brown?>

Il cuore mi salta in gola. Non posso dirle che sono scappata.

<Sì, ma sono stanca, possiamo andare?> rispondo, sperando che non faccia altre domande.

<Certo, torniamo a casa,> dice lei, sorpresa ma compiaciuta. Non mi succede spesso di avere sonno sono, infatti, solita ad aggirarmi per casa come un fantasmino. E per una volta, il mio piano funziona senza intoppi.

Mentre camminiamo verso casa, sento il peso della giornata svanire. Forse, dopo tutto, non è stata così terribile.

Quel tipo sembrava abbastanza simpatico, ma non lo conosco del tutto quindi non sono sicura di aggiungerlo alla mia "lista degli amici" momentaneamente vuota, ma credo che ci penseró.

sussurri nella follaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora