-Samuel's Side-

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Mi guardo allo specchio e sistemo il colletto della camicia. Che ridicolo. Non mi sono mai sentito a mio agio con i vestiti eleganti, e oggi non fa eccezione. Il completo mi stringe un po’, come se cercasse di soffocarmi lentamente. Forse è solo un effetto della giornata che mi aspetta.

Oggi c’è l’udienza. L’ennesimo teatrino tra i miei genitori. Vogliono entrambi stare con me e mia sorella, come se potessero dividerci a metà e risolvere tutto. Loro non capiscono, non hanno mai capito.

A dire il vero, non è che io abbia molta voglia di capirli. Quando sono stato costretto a trasferirmi qui, ero convinto che non sarebbe durato. Invece eccomi qua, a sistemare una cravatta che non so nemmeno come si annoda, in una casa che non è la mia, in un paese che mi sta stretto.

Mia madre mi ha detto che è il posto dove è cresciuta, e forse per lei è speciale, ma per me è solo un’altra tappa temporanea. Come la scuola che frequento ora.

Già, la scuola. Non ne parliamo. Quando vivevo all’estero, le cose erano diverse. Noiose, certo, ma almeno non dovevo preoccuparmi di sembrare il più stupido della classe.

Solo perché correggo un errore qua e là, improvvisamente sono “maleducato” o “irrispettoso”. Quella maestra delle elementari, non la dimenticherò mai.

Ha persino suggerito ai miei genitori di farmi seguire da un insegnante di sostegno. Come se fossi io il problema. E loro hanno cominciato a litigare sempre di più. Ogni parola che usciva dalla mia bocca sembrava accendere un rogo.

Quando penso a tutto quello che è successo, non posso fare a meno di sentirmi in colpa. Se non avessi corretto continuamente i miei insegnanti, se avessi semplicemente tenuto la bocca chiusa, forse le cose sarebbero andate diversamente.

Magari non avrebbero convocato i miei genitori a scuola così spesso. Quei colloqui sembravano sempre trasformarsi in discussioni, e ogni volta che uscivamo dall'aula, sentivo che le cose tra loro peggioravano.

Avrei dovuto capirlo prima, smetterla di attirare l'attenzione su di me. Ma a volte mi sembrava impossibile.

Non potevo lasciar perdere, come se ogni parola fuori posto mi costringesse a intervenire. E ora... ora eccoci qui, con una famiglia divisa e una decisione che sta per cambiare tutto.

Se solo fossi stato più attento, più... silenzioso, non avrei innescato tutto questo.

Le litigate erano sopportabili, ma poi è successo… quello. Quella sera. Le urla, il rumore di vetri rotti, e io che prendo Chloe e mi chiudo a chiave in camera, senza guardare indietro. Non c’è altro da dire. È finito tutto lì. Non ho capito bene cosa fosse successo.... E preferisco continuare a non farlo.

Ed è così che siamo finiti a vivere con mia madre. Temporaneamente, dicono. Ma nessuno sa quanto durerà questa “temporaneità”.

Mentre cerco di infilare le scarpe eleganti, quelle che non riesco mai a infilare senza fatica, mia madre entra in camera. Ha quell’espressione strana, quasi compiaciuta.

<Sei davvero elegante oggi, Samuel. Bravo, sembri un uomo.>

Mi guardo di nuovo nello specchio, e non vedo nessun “uomo”. Solo un ragazzo che si sente stretto in una vita che non ha scelto, o che ha causato lui stesso. Ma annuisco, faccio finta che il complimento mi faccia piacere. Lei sorride e se ne va, lasciandomi solo. È strano, perché i complimenti dovrebbero far felici, no? Non nel mio caso.

Mentre sistemo la cravatta per l’ennesima volta, mi viene in mente Lena. Di tutte le persone che ho conosciuto, lei è forse quella che capisco meno, ma che mi stà piú a cuore.

È strana, nel senso che a volte mi sembra di sapere cosa pensa, altre volte è come se fosse in un mondo tutto suo. Ma mi piace questo. Mi piace che non sia prevedibile, che non cerchi di impressionare nessuno. E poi, beh, è diversa dagli altri. Non saprei dire in che modo esatto, ma lo è.

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