Prologo

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8 settembre, 1988


Il crepuscolo stava accompagnando la sua corsa ormai da un po', volgendosi verso una notte che, ne era certa, sarebbe stata priva di stelle. Gli ultimi raggi filtravano a fatica attraverso le fronde sopra la sua testa, illuminando debolmente il variopinto tappeto di premature foglie autunnali che crepitavano sotto il suo peso. Le braccia e il viso erano ricoperti di graffi, segni del suo passaggio precipitoso tra i rami e i cespugli che provavano a trattenerla. Lei, però, non osava fermarsi neanche per un istante. Era sicura che se l'avesse fatto non sarebbe più stata in grado di riprendere.

Il sangue caldo le colava lungo la tempia, impiastricciandole i capelli e scivolando lungo la guancia come una lacrima rossa. La testa le faceva male, la sentiva pulsare all'altezza della ferita e a volte doveva sfregarsi gli occhi per evitare che la vista le si annebbiasse. Non aveva idea di quanto fosse grave, ma non aveva tempo per fermarsi e controllare. Quella corsa valeva qualsiasi dolore. Valeva la sua vita.

Ancora un po', si disse. Ci sono quasi. Dovrei esserci quasi...

Evitò all'ultimo un sasso che spuntava dal terreno irregolare e quasi cadde quando incespicò in una radice nascosta sotto un cumulo di foglie giallastre. Le mani protese in avanti, pronte all'impatto col terreno. Per un attimo pensò che fosse finita. Si sarebbe slogata la caviglia e avrebbe gridato facendo levare in volo gli uccelli spaventati e rivelando la propria posizione, come un animale ferito che chiami a sé il cacciatore. Si sarebbe trascinata dietro un albero o una macchia verde poco distante, in attesa di essere scovata e incontrare il destino da cui stava scappando. Invece, atterrò meglio del previsto, scivolando appena. Si aggrappò al tronco per non cadere. Le unghie strapparono la corteccia, che le lacerò parte del palmo. Chiuse la mano a pugno, affondando le dita nel sangue. Le faceva un male cane, ma aveva mantenuto l'equilibrio.

Si voltò all'indietro, consapevole che tutto quel rumore non la stava di certo tenendo al sicuro. Non c'era nulla che potesse fare per essere silenziosa, se non nascondersi a sperare che il suo inseguitore passasse oltre senza notarla. Ma la sola idea di restare immobile e lasciare che si avvicinasse le faceva battere il cuore all'impazzata. Riusciva a sentirlo martellare contro il petto, pronto a esplodere.

TUM, TUM, TUM!

Sapeva che era un'idea stupida, ma pensava che quel suono fosse abbastanza forte perché potesse seguirla ovunque andasse. No, nascondersi non l'avrebbe salvata.

I suoi occhi guizzavano a destra e sinistra, cercando dietro ogni albero, rialzamento, tronco caduto. Nulla, ma questo non la rassicurò affatto. Anzi, se possibile la spaventava ancora di più. Riusciva ad avvertire la sua presenza soffocante e sapeva di non godere di un gran vantaggio.

Perché ti sei fermata? Corri, stupida, corri!

Prese una lunga boccata d'aria e riprese da dove si era interrotta, sperando che il sole l'accompagnasse ancora per un po'. Se i suoi calcoli erano esatti, presto avrebbe dovuto imbattersi in una delle case che costeggiavano la strada.

Il caldo era soffocante e ciò che la circondava iniziava a sfocarsi mentre il sudore le scivolava sulle palpebre. Non sarebbe mai riuscita a raggiungere la città, né tantomeno la stazione di polizia. Se fosse stata la stagione della caccia avrebbe potuto sperare di imbattersi in qualche cacciatore, oppure qualche escursionista, ma mancavano ancora diverse settimane. Era sola. Una casa. Un telefono. Ecco di cosa aveva bisogno.

E se non mi credessero? si chiese. Se mi prendessero per pazza?

No, le avrebbero creduto. Le prove erano ovunque sul suo corpo. Era un'idea disgustosa, ma anche una testimonianza incontrovertibile dell'incubo da cui stava fuggendo. Accelerò, approfittando della maggiore regolarità del terreno, ma lo sforzo le costò più di quanto potesse immaginare.

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