CAPITOLO 8 (POV DI JESSICA)

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Per tutto il tragitto ho pensato a questo Mike, 'come sarà?', 'scontroso?', 'ci accoglierà a braccia aperte?'.

Tutte domande a cui non ho trovato risposta visto che, quando siamo arrivati, lui non era in casa.

"Devo uscire per delle commissioni, ci vediamo questa sera." ci saluta John.

"Papa!" urla, e subito dopo, dei passi accompagnati da un bastone, ci raggiungono.

"Ragazzi, lui è Jack, mio padre."

Jack è un uomo gobbo, sugli ottant'anni circa, che cammina, anzi no, zoppica aiutato da quello che pensavo fosse un bastone, quando in realtà è una gamba di legno.

"Loro sono Jessica" John indica me "e Ryan" poi indica lui.

"Piacere" dice allungando prima una mano a me e poi a Ryan stringendole entrambe con una presa molto forte per la sua età.

Dopo averci fatto fare il giro della casa, Jack ci accompagna nella nostra stanza: è molto  piccola, con un armadio a 2 ante, un divano letto, un piccolo scaffale vuoto e una graziosa scrivania rossa posizionata tra l'armadio e lo scaffale.

L'appartamento è molto piccolo per viverci in cinque, in tre sarebbe anche fattibile.

Ci sono sette piccole stanze: la camera di Mike che non ho avuto la possibilità di vedere perché la chiude sempre a chiave -ci ha spiegato Jack-, ma ci saranno altre occasioni; la camera di Jack che è piccola e modesta, con il minimo indispensabile, un letto, un piccolo comodino e un armadio a muro in legno; la camera di John è leggermente più grande, ma niente di che; la cucina è la stanza più piccola, si fa fatica a muoversi persino da soli; la nostra camera; un bagnetto moooolto piccolo, ed è uno, e dovrò vivere con 4 maschi; infine il salone, che è la stanza più grande, si presenta nel suo disordine più totale tra quelle che saranno le scartoffie di John, piatti abbandonati sul tavolo da pranzo da chissà quanto eccetera...

"Ryan, io ho bisogno di dormire, fai pure come vuoi ma lasciami stare almeno per un ora." gli dico già sotto le coperte e con gli occhi chiusi dopo esserci spaccati, non in due, ma in quattro! Per aprire quel maledetto letto.

"Ai suoi ordini!" mi fa il saluto militare, afferra il suo telefono, un libro dal suo zaino di scuola ed esce quatto quatto dalla stanza.

Sono a casa di mio padre, seduta sul divano a fare zapping sulla televisione, ma continuo a girare a vuoto senza mai trovare niente di interessante, mio padre sta preparando la cena nella nostra modesta cucina.

Dopo cinque minuti circa un rumore mi distrae, ma torno subito al telecomando pensando che sia mio padre che rompe, come suo solito, qualcosa in cucina. Un secondo rumore improvviso, stavolta più forte, mi fa scattare in piedi diretta verso la cucina a cercare mio padre. Arrivata lì non lo trovo, così inizio a cercarlo per tutta casa; è come se fosse scomparso. 

Inizio presto ad entrare nel panico e in preda all'ansia decido di prendere il telefono per chiamare la polizia.Ma, quando faccio per digitare il primo numero, il telefono mi viene strappato di mano con una tale violenza che mi accascio a terra sul tappeto circolare del salone. 

Nella speranza che qualcuno mi senta inizio ad urlare in cerca di aiuto, ma vengo agguantata da dietro per la bocca e trascinata su una sedia. 

Sento un oggetto metallico poggiarsi sulla mia tempia che realizzo subito dopo essere una pistola.

"NON TOCCARMI!" urlo ormai totalmente nel panico.

Sussulto violentemente appena sento il rumore della pistola che viene caricata, il rumore del grilletto e...

Sono nel divano letto di casa di John in un bagno di sudore. Con le mani nei capelli decido di alzarmi e andare al bagno a togliermi dalla testa questo scenario immaginario.

Nel tragitto verso il bagno incontro un piccolo specchio appoggiato su una mensola e mi rendo conto di essere in condizioni tremende, e non scherzo. Ho i capelli tutti in disordine e appiccicati sulla fronte come se avessi fatto una maratona, mi  è colato tutto il mascara sotto gli occhi e potrei assomigliare ad un cugino di un panda e come se non bastasse puzzo da far schifo. Mi serve decisamente una bella doccia rigenerante.
Così torno in camera, prendo dallo zaino il deodorante, lo spazzolino e un intimo di ricambio insieme ad una maglietta di scorta che tengo sempre lì in caso di necessità e mi dirigo verso il bagno.

Arrivata lì sono sollevata dalla preoccupazione di incontrare qualcuno. Inizio a cercare un asciugamano in tutti i possibili scompartimenti e ne trovo un paio in una mensola sopra al lavandino. Purtoppo io e il mio metro e cinquantacinque non arriviamo allo scaffale, ma per fortuna arriva in mio soccorso un fantastico sgabello vecchio almeno un secolo e mi ci arrampico per riuscire a prendere l'asciugamano. Dopo essere riuscita nella mia impresa, scendo dallo sgabello e... cado sbattendo la testa sul lavandino. Possibile che capiti proprio tutto a me? Bè, a quanto pare si. Fortunatamente ne esco illesa, a parte un il bozzo che mi si formerà in fronte, ma devo fare più attenzione. 

Appoggio il telo sul bordo del lavandino e inizio a spogliarmi.

Dopo aver controllato che nella doccia ci siano almeno un bagnoschiuma e uno shampoo, mi butto nel box.

Ovviamente l'acqua calda non arriva subito, ma appena lo scroscio inizia a farsi tiepido mi fiondo, con i brividi di freddo che mi sconquassano tutta, sotto il getto della doccia. L'acqua mi scorre lungo tutto il corpo dandomi un po' di sollievo dopo tutti questi giorni di tensione.

Dopo aver deciso di essermi riscaldata abbastanza afferro lo shampoo, ne spremo una piccola quantità sulla mano e lo applico sulla radice dei capelli massaggiando la cute con un po' troppa violenza. Lo lascio in posa due minuti mentre mi lascio scivolare il flusso d'acqua lungo la schiena, poi lo sciacquo e passo al corpo. La fase balsamo a me non serve per forza visti o miei corti capelli.

Prendo una grande dose di bagnoschiuma e la faccio scivolare dal collo ai piedi. Mi insapono per bene e sciacquo tutto.

Diciamo che abbondo qualche minuto, circa trenta, sotto la doccia calda a godermi la fantastica sensazione di acqua che scivola via e si porta con lei anche le mie preoccupazioni per un po'. È questo che mi pisce di più del fare la doccia, il senso di pulizia mentale che mi lascia dopo essere uscita da quel covo di vapore.

Esco dalla doccia canticchiando Lana Del Rey e mi avvolgo nell'asciugamano. 

Faccio per aprire la porta ma mi si spalanca davanti e mi si presenta quello che deve essere Mike. È parecchio alto, forse più di Ryan e avrà un anno in più di noi; ha i capelli marroni, spettinati ad arte, gli occhi dello stesso colore, penetranti come un ago nella pelle, la sua mano sinistra è ancora fissa sul pomello della porta mentre mi fa una radiografia visiva, probabilmente in cerca di informazioni sull'estranea che gira per casa sua. 

Mi viene incontro e mi scansa con una forte spallata, non faccio in tempo a dirgli che è uno stronzo che mi sbatte la porta in faccia come se non esistessi.

Decido non prestarci molta attenzione e con un'alzata di spalle giro i tacchi e mi dirigo verso la mia camera. Voglio dire, a tutti capita una brutta giornata no? Di solito non avrei lasciato correre, ma non voglio creare problemi nella mia permanenza qui a casa di John, Jack e Mike. Così mi chiudo in camera, mi metto il pigiama e mi infilo sotto alle coperte pronta per un secondo round di sonno. Nemmeno cinque minuti che crollo sul cuscino.

Bè ragazzi, le descrizioni non sono il mio forte, fatevene una ragione. 

Ho cercato di allungare un po' il capitolo per renderlo più sostanzioso e niente, studiate mi raccomando e abbiate un buon week end.

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⏰ Ultimo aggiornamento: 2 days ago ⏰

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