30. di epiloghi e feste di compleanno

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TOMMASO

A mio padre piace andare a pesca.
Siamo sulla spiagga privata dei Vanderwier, dietro alla loro villona pagata milioni, a festeggiare il mio compleanno.

Non mi è mai piaciuto essere al centro dell'attenzione, fare festoni che erano più per gli altri che per me, quindi l'unica cosa che ho chiesto a mia madre quest'anno è stata un compleanno tranquillo.
Mamma ha ribadito che il mio diciottesimo non può essere tranquillo, io le ho ricordato che mi ha nascosto l'identità di mio padre per diciassette anni e lei allora ha ceduto.
Vedete come si fa business?

A differenza di mio padre, io non ho un buon occhio per la pesca.
O per i laghi in generale.
Certo, ci sono cresciuto, a Santa Vara, ma sono nato a Torino e mi muovo molto meglio in una città piuttosto che a tenere una canna da pesca.

Più che una tipica attività padre-figlio, penso che questa sia solo una scusa che Enrico ha trovato per prendermi da parte e parlarmi.
E infatti, è proprio quello che stiamo facendo.

"Ascanio ha iniziato ad andare in terapia." Mi dice mentre sposta la canna da pesca e io seguo i suoi movimenti, rischiando di inciampare nei miei stessi piedi. Dio santo.
"Ah sì?" Gli domando, voltando la testa per osservare il tavolo di vimini attorno a cui è seduta la mia famiglia.

C'è mamma, Davide, Parviz... e Ascanio. Assieme a sua madre.
La nota positiva, uno scorcio di blu in tutto questo grigio, è la mia Mystica, che chiacchiera e ridacchia con mia madre e Davide mentre li aiuta ad apparecchiare la tavola.
Hanno lasciato Ascanio alla griglia, il che non ha fatto piacere né a me né a Davide, che ci tiene a farlo inciampare tutte le volte che ci passa accanto, ma mio fratello posso ignorarlo fino ad un certo punto e il mio compleanno sembra non rientrare nella lista.

"Spero lo aiuti." Sospira Enrico, guardandomi e ancora mi fa strano vedere i miei occhi riflessi nei suoi, lo stesso colore che mi osserva.
Sembra di vedermi allo specchio e non ci sono per nulla abituato.
"Ha tanto da farsi perdonare." Borbotto, perché volente o nolente, non posso scappare da Ascanio, almeno non ora, non mentre stiamo giocando alla famigliola felice e gli equilibri sono estremamente fragili.

"So che non vi state simpatici. Si vede." Commenta Enrico con una punta di tristezza, come se gli facesse male vedere che i suoi due figli piuttosto che parlarsi preferirebbero darsi fuoco.
Beh, succede.

"Tuo figlio è un po' un coglione." Gli dico e mio padre ghigna, scuotendo la testa.
Più passo del tempo con lui, più mi rendo conto di quanto siamo simili.
Ho passato anni a chiedermi che cos'avessi preso da mio padre, e la risposta è tutto.
Assomiglio a mia madre, ma ho lo stesso modo di fare di Enrico, lo stesso portamento, la stessa espressione svogliata.
E da una parte mi fa paura.

"Anche tu sei mio figlio." Ribatte mio padre e io faccio spallucce, guardandolo di sottecchi.
"Non è la stessa cosa."
"Lo sarà."
"Se lo dici tu."

Non ho ancora perdonato del tutto i miei genitori: per quello ci vorrà molto più tempo, i loro tentativi di riappacificazione sono ancora troppo deboli perché io possa perdonarli, però entrambi ci stanno provando e io sono disposto a concedergli questa opportunità, a cercare di riallacciare i rapporti.

Con mamma è un po' più facile, perché mamma è mamma e l'avevo già perdonata quando eravamo nella stupida sala professori del Manzoni.
Con Enrico è più complessa, la situazione, ma è da quando mi ha conosciuto sul serio che ogni giorno passa del tempo con me e si vede, si percepisce che tutto ciò che vuole è conoscermi.

"Ho sentito che hai messo i fondi per una borsa di studio." Gli dico, perché Mystica mi ha spifferato tutto per paura che lo venissi a sapere da altri e ci rimanessi male, ma più che vederlo come un modo che Enrico ha trovato per mettersi a posto la coscienza, secondo me è davvero un gesto che viene dal cuore.

THORNS AND DAYLIGHT [1]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora