Capitolo 4

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Winter

Il giorno seguente mi svegliai prestissimo, come se avessi dormito solo poche ore. Il sonno era stato leggero, tormentato da pensieri sul nuovo ambiente, su quella casa estranea e su tutto ciò che stava per succedere. Il primo giorno di scuola mi aveva sempre dato l'ansia. Ogni anno era la stessa storia: sveglia con un nodo allo stomaco, una sensazione di vuoto che mi faceva mancare l'appetito e rendeva tutto più opprimente. L'idea di dovermi confrontare con volti sconosciuti, abitudini nuove, e di lasciare dietro di me il mio vecchio mondo, era come un peso che non riuscivo a scrollarmi di dosso.

Mentre mi preparavo, cercai di non pensare troppo a cosa sarebbe successo. Tirai fuori dall'armadio la divisa: una gonna a pieghe scure che mi arrivava appena sopra il ginocchio, una camicetta bianca stirata alla perfezione. Avrei preferito qualcos'altro, ma la scuola privata a cui ero stata iscritta aveva regole ferree. E così, tra un sospiro e l'altro, mi sistemai i capelli lunghi sciolti, guardandomi allo specchio come se non fossi nemmeno io.

Quando scesi in cucina, l'atmosfera sembrava più caotica del solito. Il rumore dei piatti, delle tazze e il brusio di voci basse mi colpì subito. Notai Kai appoggiato alla finestra, intento a farsi i risvolti sulla camicia bianca. La stessa camicia di cui aveva sollevato le maniche la sera prima. Era già vestito come un uomo d'affari, anche se il suo modo di fare sembrava tutto tranne che formale. Ogni suo movimento, lento e preciso, emanava una sicurezza che mi dava fastidio. Ma la mia attenzione fu presto catturata da qualcos'altro.

Un ragazzino stava seduto a un angolo del tavolo, con lo sguardo perso nel vuoto. Sembrava assorto in un mondo tutto suo, i suoi occhi fissi su un punto indefinito, quasi come se non vedesse nulla di ciò che lo circondava. C'era qualcosa di inquietante nel modo in cui stava lì, immobile, quasi congelato nel tempo. La sua pelle era pallida, i capelli scuri che cadevano disordinati sulla fronte, e l'espressione assente mi fece venire un brivido. Continuai a osservarlo, cercando di capire cosa ci fosse di così strano in lui, fino a quando una voce spezzò il mio incanto.

«Hai qualche problema?»

Alzai lo sguardo di scatto e mi ritrovai a fissare Kai, che mi stava osservando con un sorrisetto provocatorio. Mi aveva colta sul fatto, e sembrava divertirsi.

«No, nessun problema», risposi frettolosamente, scuotendo il capo per scacciare l'imbarazzo. «Stavo solo guardando...»

Kai si avvicinò al ragazzino, sfiorandogli la testa con un gesto quasi protettivo, ma al contempo distaccato. Il suo sguardo si fece più serio, anche se manteneva quel tono sarcastico che ormai mi aspettavo da lui.

«È che vi somigliate parecchio», aggiunsi, ancora incuriosita. «Siete fratelli?»

Kai si fermò per un istante, poi alzò gli occhi al cielo con un sorriso ironico. «Ma dai, hai scoperto l'acqua calda. Sì, è mio fratello», rispose in tono seccato. Poi, con una punta di sarcasmo, aggiunse: «Non sei un genio?»

Sbuffai, infastidita dal suo atteggiamento, ma decisi di ignorare la provocazione. Non avevo intenzione di cadere nel suo gioco, anche se ogni parola che usciva dalla sua bocca sembrava pensata apposta per farmi innervosire. Mi voltai verso il tavolo, evitando di incrociare il suo sguardo.

Proprio in quel momento, sentii i passi dei nostri genitori che scendevano le scale. Mia madre e Mark entrarono in cucina, sorridenti e immersi nel loro mondo perfetto. Diedero un rapido sguardo alla scena, poi, come se nulla fosse, si avvicinarono al tavolo per salutare.

«Buongiorno, ragazzi», disse Mark con un tono fin troppo allegro per i miei gusti.

«Buongiorno», risposi io educatamente, mentre Kai si limitava a un cenno con il capo.

TWISTED SHADOWSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora