Winter
La macchina scivolava sull'asfalto come un serpente pigro, ma dentro di me c'era una tempesta. Le parole di mia madre riempivano l'aria, colpivano come sassolini contro una finestra chiusa, piccoli rumori insignificanti che scivolavano via. Il suo tono era dolce, ma non riuscivo a trovare la forza di ascoltarla. La rabbia mi avvolgeva come una coperta pesante, soffocante, impossibile da scrollarmi di dosso.
«Mi raccomando, Winter, sii educata, fai una buona impressione. Mark ci tiene molto. È una nuova scuola, nuova città, e lo sai quanto...»
Non stavo ascoltando. Ogni raccomandazione che usciva dalle sue labbra mi passava accanto come il vento che sfiorava i finestrini abbassati. Guardavo fuori, oltre la distesa monotona della strada che si apriva come una lunga ferita tra i campi, e pensavo a tutto ciò che avevo lasciato. I miei amici, la mia scuola, la mia vita. Era come se qualcuno mi avesse strappato via le radici e ora cercasse di piantarmi in un terreno sconosciuto. Ma io non volevo mettere radici lì. Non volevo affatto essere lì.
«Winter, mi ascolti?» la voce di mia madre era più insistente adesso, ma non mi voltai.
«Sì...» risposi in modo distratto, senza nemmeno cercare di sembrare convincente.
Lei sospirò. Sapeva che non stavo ascoltando davvero. Lo sapeva, ma continuava comunque a parlare, come se le sue parole potessero in qualche modo cambiare la mia testa. Come se potesse aggiustare qualcosa che era rotto da tempo.
«Lo so che sei arrabbiata,» disse, e per un attimo il suo tono si abbassò, diventando quasi fragile. «Ma non potevamo restare in quella casa. Ogni stanza, ogni angolo... tutto mi ricordava solo brutte cose.»
Chiusi gli occhi. Non volevo sentire. Parlare del passato era come riaprire una ferita che non si era mai davvero rimarginata. E lei continuava a girare il coltello.
«Mark ha scelto per te una scuola fantastica, sai?» cercò di risollevarsi, tornando al tono allegro. «È moderna, all'avanguardia. Avrai tutti gli strumenti che ti servono per eccellere, per costruirti un futuro brillante.»
Un futuro brillante. Quante volte avevo sentito quelle parole? Sembravano sempre così lontane, così fredde. Come una promessa che nessuno poteva davvero mantenere. Guardai fuori, il paesaggio cambiava lentamente, eppure dentro di me era come se tutto fosse fermo. Le persone che conoscevo, le risate nei corridoi, i pomeriggi passati senza fare niente di importante, ma che sembravano tutto... tutto questo mi stava scivolando via.
«Non voglio stare lì, mamma.» Le parole mi uscirono come un soffio, cariche di tutto il peso che avevo cercato di nascondere fino a quel momento.
Lei rimase in silenzio per un attimo, come se quelle parole l'avessero colpita. Poi riprese, ma con meno convinzione. «So che è difficile, ma ti prometto che andrà tutto bene. Avremo una nuova vita, lontane da tutto ciò che ci faceva male.»
«Non lo voglio. Non voglio una nuova vita.»
Le mie parole rimasero sospese nell'aria, come una sentenza inappellabile. Ma non mi aspettavo una risposta. Lei non avrebbe capito, non del tutto. Per lei, lasciare tutto era una liberazione. Per me, era solo una prigione dorata.
La macchina continuava a correre, mentre dentro di me tutto rimaneva immobile, come se fossi intrappolata in una gabbia invisibile. E ogni parola che mia madre diceva non faceva che stringere ancora di più quelle sbarre.
Quando l'auto si fermò, mi sentii improvvisamente travolta da una sensazione di vuoto. Il motore si spense, lasciando spazio al silenzio, ma anche quel silenzio era carico. Davanti a me si ergeva la villa, ma chiamarla semplicemente "villa" sarebbe stato un insulto. Sembrava quasi un'antica cattedrale, imponente e piena di storia, ma con un tocco moderno che la rendeva ancora più inaccessibile, come un'opera d'arte di cui non cogli tutti i significati.
La facciata era di un bianco marmoreo, come se fosse stata scolpita direttamente da una roccia. Le colonne slanciate, che sostenevano un ampio porticato, si stagliavano contro il cielo azzurro, dandole un'aria di maestosità antica. Le finestre, ampie e luminose, sembravano occhi che scrutavano il mondo con una superiorità sottile, come se sapessero tutto quello che c'era da sapere. Era un mix di vecchio denaro, con i suoi dettagli classici e raffinati, e modernità, come se volesse gridare al mondo che nonostante tutto, quella casa apparteneva ancora al presente, al futuro. Persino il giardino, che si estendeva come un mare verde perfettamente curato, sembrava suddiviso con una precisione quasi chirurgica, le siepi tagliate come fossero opere geometriche.
Scesi dall'auto e sentii il rumore dei miei passi soffocato dal tappeto di erba fresca sotto i piedi. Nonostante la villa fosse perfetta, non riuscivo a sentirla mia, sembrava lontana anni luce dal mondo che conoscevo. Mi guardai intorno mentre due maggiordomi in impeccabili completi neri si avvicinavano in silenzio per scaricare le valigie. Sembrava che tutto in quella casa fosse stato progettato per essere silenzioso, preciso, senza lasciare nulla al caso.
«Benvenuti a casa», disse mia madre con un sorriso incerto, mentre osservava l'imponente struttura con un misto di meraviglia e nervosismo. Io rimasi in silenzio, guardandola di sbieco. Casa? Non mi sembrava affatto una casa. Sembrava più una prigione dorata.
Mentre i maggiordomi portavano via le valigie, un uomo si avvicinò. Mark. Alto, con i capelli leggermente brizzolati e un sorriso che sembrava più una maschera ben allenata. Indossava un completo grigio su misura, così perfetto che sembrava fatto d'aria. Gli occhi freddi come il vetro, un po' come quella villa: imponenti, ma distanti. Non potevo fare a meno di pensare che sembrasse uscito da una rivista patinata.
«Winter», disse con un tono che provava a essere caloroso, ma che aveva qualcosa di forzato. «Finalmente ci incontriamo. Tua madre mi ha parlato molto di te.» Mi allungò la mano, aspettandosi chissà quale calorosa stretta di mano.
Lo guardai, sollevando un sopracciglio. Il suo sorriso impeccabile non mi ingannava. «Oh, davvero?» risposi, incrociando le braccia. «Spero solo che non abbia esagerato con i complimenti. Non vorrei deludere nessuno, sai com'è.»
Il mio tono era leggero, ma carico di sarcasmo. Mia madre si girò di scatto, lo sguardo tagliente come una lama. «Winter!» mi rimproverò sottovoce, stringendo le labbra. Potevo sentire l'imbarazzo crescere in lei, come un'ondata di calore improvvisa.
«Oh, non c'è bisogno di fare la brava ragazza per me», replicò Mark con un sorriso che non si spegneva mai, come se fosse incollato alla sua faccia. «Sono sicuro che andremo d'accordo.» Ma i suoi occhi dicevano altro. Aveva già deciso cosa pensare di me, ed era evidente.
«Certo, sono sicura anch'io», risposi, lanciandogli un'occhiata veloce prima di tornare a guardare la villa. Non sapevo se volessi davvero vedere cosa c'era oltre quella porta. Mi sembrava un luogo dove tutti indossavano maschere, e io ero stata trascinata lì senza nemmeno chiedere.
La mia vita stava cambiando così velocemente che non riuscivo nemmeno a stare al passo con i miei pensieri. Ma una cosa la sapevo: non mi sarei adattata facilmente. E quel sorriso finto di Mark non faceva altro che confermare che, da quel momento in poi, tutto sarebbe stato una farsa.
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TWISTED SHADOWS
عاطفيةWinter ha diciassette anni, un'età dove le regole scolpite nella pietra la fanno sentire protetta e le responsabilità sono il suo rifugio. Disciplina, studio, controllo: questi sono i suoi pilastri. Ma quando si trasferisce a casa del nuovo compagno...