Capitolo 2

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Winter

La giornata era scivolata via lentamente, ma con un ritmo costante, come un fiume che non si ferma mai. Dopo l'arrivo e l'incontro con Mark, avevo passato il resto del tempo a esplorare la villa, cercando di orientarmi in quel labirinto di stanze. Ogni angolo, ogni dettaglio sembrava fatto apposta per ricordarmi che quel posto non era mio. C'era troppa perfezione, troppa opulenza, come se ogni oggetto volesse urlare: "Guarda quanto sono prezioso, guarda quanto vali meno di me."

La mia camera, situata al piano superiore, sembrava più una suite d'albergo che una stanza. Pareti di un bianco immacolato, mobili in legno scuro e un enorme letto con lenzuola di seta che mi facevano rabbrividire al solo pensiero di sdraiarmi lì. Non c'era nulla di accogliente o familiare. Era come se quella stanza fosse stata progettata per una versione di me che non esisteva. Una Winter che amava il lusso, che si sentiva a suo agio tra sfarzo e lustrini. Ma quella non ero io.

Dopo aver vagato per un po', mi ero diretta verso l'armadio, sperando di trovare qualcosa che potesse almeno avvicinarsi alla mia idea di "normale". Ma appena lo aprii, una cascata di abiti scintillanti mi investì. Lustrini, seta, stoffe che sembravano provenire direttamente da qualche atelier di alta moda. Abiti da cocktail, vestiti firmati, tutti disposti ordinatamente, come se avessero una loro dignità. Rabbrividii. Era tutto così falso. Era tutto così... ridicolo. Non riuscivo a immaginare me stessa in uno di quei vestiti, camminando per la scuola come una bambola di porcellana.

Mi accigliai, richiudendo l'armadio con un gesto deciso. "Ma dove sono finita?" pensai. Mi sembrava di essere intrappolata in un episodio di una serie tv in cui la protagonista, povera ma fiera, veniva improvvisamente catapultata in un mondo fatto di diamanti e champagne. Solo che nella vita reale, il disagio non si risolveva con una colonna sonora emozionante o un montaggio di trasformazione. Nella vita reale, dovevo sopportare tutto questo.

Il pomeriggio era trascorso tra tentativi falliti di rilassarmi e qualche messaggio distratto ai miei amici, che mi chiedevano come stavo andando. Ovviamente avevo mentito, raccontando che tutto era "ok", che mi stavo sistemando. La verità, però, era che mi sentivo come un pesce fuor d'acqua.

Arrivata l'ora di cena, decisi che non avevo alcuna intenzione di adattarmi a quel mondo dorato. Se volevano una versione più "raffinata" di me, non l'avrebbero avuta. Aprii il cassetto dei miei vestiti e cercai qualcosa che fosse lontano anni luce da quel guardaroba da principessa. Alla fine, optai per una canotta di pizzo rossa. Elegante, sì, ma aveva quel tocco di ribellione che la rendeva perfetta. La abbinai a un paio di jeans verdi cargo che avevo infilato in valigia prima di partire. Comodi, pratici e soprattutto molto "me". Mi sciolsi i capelli, lasciandoli cadere in onde morbide lungo le spalle. I miei capelli neri erano sempre stati una delle poche cose che mi piacevano di me stessa. Erano ribelli, proprio come il mio carattere.

Mentre mi guardavo allo specchio, non potei fare a meno di sorridere. Era un look che non si sarebbe certo adattato all'atmosfera formale della villa, ma non mi importava. Non mi ero mai sentita a mio agio tra pizzi e sete. Io ero io.

Presi un respiro profondo e mi preparai per scendere di sotto. Sapevo che quella cena sarebbe stata una specie di teatro, con tutti noi a recitare le nostre parti. Mark con il suo sorriso perfetto, mia madre che cercava di far funzionare tutto, ed io che facevo del mio meglio per non esplodere. Ma una cosa era certa: non avrebbero avuto la versione di Winter che si aspettavano. Non quella sera, e probabilmente mai.

La cena era servita su una lunga tavola di legno lucido, con candelabri d'argento che riflettevano la luce soffusa in tutta la stanza. Io ero seduta tra mia madre e Mark, che da quando ci eravamo seduti non facevano altro che scambiarsi sguardi sdolcinati e sorrisi quasi imbarazzanti. Mia madre rideva alle battute senza senso di Mark, e lui rispondeva con frasi smielate che mi facevano venire la nausea.

«Non vedo l'ora che tutto questo diventi la nostra routine, Catya», disse Mark, accarezzandole la mano con affetto. «Svegliarmi accanto a te ogni mattina è già il mio sogno che si avvera.»

Mia madre arrossì come una ragazzina al primo appuntamento, il che mi fece quasi sbuffare per l'ennesima volta, ma mi trattenni giusto in tempo. Non volevo dare l'impressione della solita adolescente ribelle, anche se dentro di me le battute sarcastiche erano pronte a scoppiare.

«Sono sicura che sarà tutto perfetto», rispose lei, guardandolo come se fosse la sua ancora di salvezza.

Io rotolai gli occhi verso il soffitto, cercando di mascherare l'impazienza con un sorso d'acqua. Era tutto così teatrale, come se stessero recitando la parte dei genitori felici nella pubblicità perfetta di una famiglia ricca e innamorata.

Mark, a un certo punto, si voltò verso di me, interrompendo l'atmosfera zuccherosa. «Winter, come ti sembra la villa? Tua madre ha scelto la camera più bella per te.»

Sorrisi forzatamente. «Sì, la casa è... grande», risposi educatamente, senza aggiungere altro. Non volevo sembrare maleducata, ma non ero esattamente dell'umore per fare complimenti.

«Sono sicura che con il tempo ti sentirai a casa», intervenne mia madre, cercando di stemperare l'atmosfera.

Annuì senza entusiasmo, mentre cercavo di finire il mio piatto il più velocemente possibile. La cena stava andando avanti in una sorta di monotona routine, quando sentii il rumore di una porta che si apriva e poi richiudeva. Era distante, forse dall'ingresso, ma abbastanza vicino da far sobbalzare Mark. Lui abbassò la voce, quasi bisbigliando. «È arrivato mio figlio.»

Alzai lo sguardo verso di lui, notando il cambiamento nella sua espressione. Per la prima volta, sembrava nervoso, come se l'arrivo di questa persona potesse alterare il delicato equilibrio di quella perfetta serata da copione.

Non passò molto tempo prima che qualcuno entrasse in cucina. La sua presenza riempì subito la stanza, come se tutto si fosse improvvisamente concentrato su di lui. Alto, muscoloso, con una camicia bianca Ralph Lauren che gli aderiva perfettamente alle spalle e dei pantaloni neri che sembravano tagliati su misura. I suoi capelli erano disordinati, ma in quel modo studiato che ti faceva capire che non era casuale, una perfezione mascherata da caos. Sul volto, sfoggiava un'aria da bullo, come se il mondo intero fosse un campo di battaglia e lui non facesse altro che vincere, eppure il suo stile era quello di un principino di alta classe. E poi i suoi occhi... verdi come lo smeraldo, taglienti e pieni di un'indifferenza arrogante.

Per una frazione di secondo, i nostri sguardi si incrociarono, e in quel momento sentii come se il tempo si fosse fermato. Non riuscivo a decifrare cosa ci fosse nei suoi occhi, ma una cosa era chiara: quell'arroganza gli calzava a pennello. Era come un libro chiuso che non volevo leggere, ma che mi attirava comunque.

«Kai», disse Mark alzandosi in piedi, visibilmente imbarazzato. «Vieni, voglio presentarti Winter.»

Kai non si mosse immediatamente. Si limitò a scrutarci con quell'aria di chi ha già capito tutto, e con una lentezza studiata si avvicinò al tavolo. Non fece cenno di presentarsi o di salutare. Alzò un sopracciglio, osservando il piatto di caviale che era ancora sul tavolo. Con una disinvoltura impertinente, prese un cucchiaino e se ne mise un po' in bocca, gustandolo come se fosse stato fatto solo per lui.

Mark lo guardò severamente, cercando di mantenere il controllo. «Kai, ti ho presentato Winter.»

Lui non rispose immediatamente. Deglutì il caviale e poi, con un tono strafottente, disse: «Sì, sì, piacere». Mi lanciò uno sguardo fugace, come se fossi solo un'altra persona insignificante nel suo mondo perfetto. Poi si girò verso suo padre. «Non pensavo di dover partecipare a una sfilata di benvenuto.»

Mark lo guardò esasperato. «Comportati bene, per favore.»

Kai sorrise, ma era un sorriso che non arrivava agli occhi. «Sicuro, sicuro. Come vuoi tu.»

Senza aggiungere altro, si tolse la felpa Ralph Lauren e la gettò con noncuranza su una sedia, come se fosse a casa sua. Poi, senza un cenno di scusa, si voltò e uscì dalla stanza, salendo le scale con passo lento ma deciso, lasciandoci tutti in un silenzio imbarazzato.

Mark scosse la testa, visibilmente mortificato. «Mi dispiace, Winter. Kai... è un po' difficile a volte, ma sono sicuro che imparerà a comportarsi meglio. Davvero, mi scuso.»

Sorrisi forzatamente, ma dentro di me sapevo già che Kai non sarebbe cambiato facilmente. Quella sera avevo incontrato una persona che sembrava tutto il contrario di me. Ma, nonostante tutto, una parte di me non riusciva a togliersi dalla testa l'intensità di quel suo sguardo arrogante.

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