Quella mattina dopo aver fatto colazione rimango vicino alla scuola dei bambini non udenti per un po' per vederli entrare tutti belli in fila e sentirli ripetere la lezione con gli insegnanti.
Poi, dato che Francesca doveva lavorare, passo sotto ai portici dove in una stanza ci sono i bambini disabili più piccoli, mi tolgo i sandali e decido di giocare un paio d'ore con loro assieme a Marta.
La maggior parte di loro non parla, alcuni si muovono solo per gli spasmi. Ma il sorriso che ti fanno me lo ricorderò a vita.
Giochiamo a fare le torri con le costruzioni in gomma e poi a buttarle giù con un colpo; Marta, invece che ieri aveva comprato dei palloncini, li gonfia e li fa volare in aria e li mette in mezzo alle ginocchia per fargli fare un po' di ginnastica, anche a Ghibolò, un bimbo seduto su un seggiolone in legno dove si muove freneticamente, è affetto da spasticità ma è uno dei bambini più belli che io abbia mai visto fino ad ora, quando mi sorride, sorrido spontaneamente pure io, perché è quello l'effetto che mi fa. Con quel palloncino tra le ginocchia si diverte, ride, sorride, e io non potrei essere più felice nel vederlo così.
Poi c'è Alalal un bambino affetto dalla sindrome di Down che in quella giornata deve avere proprio una giornata no, perché se ne sta disteso sul pavimento a pancia in giù e di giocare non ne vuole proprio sapere.
Resto in quella stanza dove c'è così tanta voglia di vivere, che vederli così per la maggior parte della giornata, rinchiusi in una stanza grande forse 5 metri per 3, mi mette un filo di tristezza.
Non puoi portarli fuori, perché fa troppo caldo, o perché le maestre che li accudiscono non vogliono.
Alle 10 arriva la merenda per tutti, due frittelle a testa di farina di miglio. E per quelli che non riescono a masticare, le maestre preparano un intruglio di miglio da far bere.
Io mi siedo vicina a Ghibolò e spezzo piccoli pezzi di frittella da dargli poco per volta. Lui continua a ridere, mastica e ride, infatti vi lascio solo immaginare il disastro che facciamo sulla sua maglietta, ma niente che un pezzo di carta non risolva, ovvero, un pezzo di carta igienica, perché lì non c'è altro.
Finite le due frittelle un bel giro di acqua per tutti e poi si ritorna a giocare.
In quelle ore in cui rimango lì, costruisco e distruggo torri assieme ai bimbi.
Poco prima di pranzo, esco e vado dalla Francesca per vedere come sta andando con i vari lavori; la trovo assorta nelle mille scartoffie, ma decide che è ora di staccarsi dal pc e così, prendiamo una cartellina contenente un registro dei presenti e dei disegni, e ci dirigiamo alla scuola elementare della fondazione per completare il registro per le adozioni a distanza.
Ci sono solo due aule, con all'incirca una trentina di bambini e bambine, con il grembiulino a quadretti blu e rossi che imparano a scrivere il numero 4 sulle loro lavagnette con i gessi bianchi.
Mancano due bambini a cui far fare il disegno, ma purtroppo sono assenti anche questa volta. Nel mentre che Francesca parla con la maestra, passo tra i bambini per vedere i loro lavori sulle lavagnette e loro tutti orgogliosi mi fanno vedere quanto sono stati bravi. Scatto qualche foto, ma appena tiro fuori la GoPro cominciano a salutare, così colgo l'occasione e decido di fare un bel video.
È così strano per loro vedersi nel video che alcuni si nascondono timidi.
Alcuni invece, cancellano le loro lavagnette con le mani e mi fanno vedere il loro palmo tutto ricoperto di gesso, facendomi intendere che anche loro sono come me.
Appena arrivi, solitamente quando ti toccano, guardano subito la tua mano, la prendono e la girano per vedere il colore. E poi si confrontano con l'amico affianco. Sembra quasi una barzelletta, ma è una delle cose che fanno per prima.
STAI LEGGENDO
NASAARA
Short StoryNasaara! Nasaara! Si innalza così il grido dei bambini mentre ci corrono incontro, lungo la strada, che percorriamo per arrivare alla scuola elementare di Moussourfouk. Nazareno! Il bianco! Ma torniamo un attimo indietro, qualche settimana prima di...