Nelle rovine dei ricordi

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Il cielo grigio si fondeva con l'asfalto bagnato, e i suoni ovattati della pioggia rimbalzavano sui tetti delle auto parcheggiate. Non riuscivo a smettere di guardare fuori dalla finestra. Il mondo sembrava così distante, così irreale. Era come se un muro invisibile mi separasse da tutto ciò che stava succedendo, come se stessi guardando una scena da un film di cui non ricordavo più la trama.

Lucy era morta. Solo due giorni fa. Così improvvisamente da lasciare un buco, una voragine che non riuscivo a riempire con nessun pensiero razionale. Tutto si mescolava dentro di me: rabbia, dolore, confusione. Ogni volta che mi sforzavo di ricordare il giorno dell'incidente, quel maledetto giorno, era come cercare di afferrare il fumo. Le immagini apparivano, scivolavano via, e poi scomparivano del tutto.

"Ehi, Jane." La voce di Ethan mi fece trasalire. Era lì, appoggiato alla parete della cucina, le braccia incrociate e l'espressione svogliata. Perfetto nella sua arroganza. Perfetto nel suo essere fuori luogo e insieme esattamente al posto giusto. La pioggia gli aveva arruffato i capelli neri, ciocche disordinate che cadevano sugli occhi scuri. Non avevo bisogno di guardarlo per sapere che mi stava fissando. Non faceva altro da quando Lucy se n'era andata.

"Che c'è?" risposi, la mia voce più secca di quanto volessi.

"Se continui a fissare la finestra con quella faccia da pesce lesso, finirai per farla crollare." Una nota sarcastica si insinuò nel suo tono, ma c'era un'ombra di preoccupazione che non riusciva a nascondere del tutto. "Ehi, sto parlando con te."

"Vai via," sibilai. Avevo già troppa confusione nella testa, non avevo bisogno di aggiungere lui al mix.

"Non ci penso nemmeno." Si staccò dalla parete e fece un passo verso di me. "Qualcuno deve stare qui per assicurarsi che tu non faccia cazzate."

"Non farei cazzate se tu mi lasciassi in pace," ribattei, ma non avevo la forza di combattere davvero. Le parole uscivano vuote, senza mordente.

Ethan sospirò, quel suo solito sibilo esasperato che mi faceva venire voglia di prenderlo a pugni. "Sai benissimo che non è vero."

Mi voltai di scatto. "Perché sei qui, Ethan? Perché non vai da qualcuna delle tue amiche a consolarle con la tua presenza ingombrante? Io non ho bisogno di te."

Lui alzò un sopracciglio. "Non c'è nessun'altra." Rispose secco.
Si fermò davanti a me, abbastanza vicino da sentire il suo odore—un misto di tabacco e legno bruciato. "E smettila di fare la dura. Non mi impressioni."

Era uno dei suoi giochi. Mettermi alla prova, provocarmi finché non reagivo. Ma non potevo farlo. Non oggi. Chiusi gli occhi, cercando di ignorare la sua presenza. Il silenzio tra noi diventava sempre più pesante, quasi soffocante.

"E allora dimmelo tu, Ethan. Che cosa dovrei fare? Piangere? Urlare? Distruggere tutto come fai tu quando le cose non vanno come vuoi?" La mia voce tremava, e odiavo che lui se ne accorgesse. Mi sentivo debole. E lui, per qualche motivo, era lì proprio per vederlo.

"Se distruggere tutto aiutasse..."
"Cosa ? Lo avresti già fatto per me ?" Sbuffai
"Queste cazzate valle a raccontare a qualcun altro" conclusi scaltra, Il suo sguardo si fece cupo, come se stesse trattenendo qualcosa che non voleva far uscire. "Non funziona così, Jane. Sai anche tu che non risolverebbe niente."

Abbassai lo sguardo, le parole bloccate in gola. Non volevo che fosse lui a vedere quanto ero a pezzi. Ma non avevo più nessuno, e questo mi spaventava più di ogni altra cosa. Lucy era stata il mio punto di riferimento, il mio legame con quella vita che non riuscivo a ricordare. Ora non c'era più. Ed ero sola. Completamente sola.

"E tu? Sei qui per farmi sentire meno sola, Ethan?" domandai, sfidandolo con lo sguardo.

Lui scosse la testa, un sorriso amaro sulle labbra. "No, sono qui perché non sopporto vedere qualcuno fare il coglione peggio di me." Si appoggiò con la spalla alla parete "e perché tuo fratello me lo ha esplicitamente chiesto, dato che lui oggi doveva lavorare "

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