Tre

82 17 87
                                    


Appena Lio uscì dal bagno, con i capelli castano scuro ancora bagnati che gli ricadevano disordinati sulle spalle e la barba incolta, sentii qualcosa smuoversi dentro di me. Un fascino inspiegabile. Quella sua aria temporaneamente pulita sembrava cozzare con il suo aspetto nomade e il modo distaccato in cui si muoveva. Mentre lo osservavo, i pensieri mi travolgevano come un'ondata. Avrei voluto chiedergli cosa fosse successo, cosa l'avesse portato fino a quel punto. Ma il suo silenzio era impenetrabile, quasi indifferente, come se nulla potesse scalfire la corazza che indossava.

E poi se n'era andato. Dopo la doccia, Lio era scappato via. Non c'era stato verso di convincerlo a restare, neanche per quella notte. Mi aveva salutato con un cenno rapido, e con addosso il vecchio maglione blu e i pantaloni beige di mio padre, era uscito come un'ombra in fuga. Non mi spiegavo perché preferisse il gelo della notte alla mia ospitalità. Io avevo tutto e avrei potuto aiutarlo, ma lui se n'era andato senza nemmeno voltarsi indietro.

Prima che uscisse, avevo infilato una fetta di cheesecake basca avanzata e una bottiglietta d'acqua nella busta con le filipadas. Era poco, lo sapevo, ma volevo che almeno avesse qualcosa di dolce con sé. E mentre Lio si allontanava, un peso invisibile si era posato sul mio petto. Sapere che avrebbe trascorso la notte fuori, al freddo, mi metteva a disagio. Era come un sole cocente d'agosto, implacabile e fisso nel cielo: non c'era nulla che potessi fare per alleviare quel peso.

Quel sole mi tenne sveglia fino all'alba. Ogni volta che chiudevo gli occhi, vedevo il viso di Lio, e cercavo in lui qualche indizio, una traccia che mi svelasse qualcosa di quel mistero che portava dentro. Ma non trovavo risposte. Quando infine le palpebre cedettero, fu anche peggio. Gli incubi mi avvolsero come una rete, stretta e soffocante. Mi svegliai alle sette, con il cuore in gola e un senso di angoscia che non mi abbandonava.

Avevo sognato di nuovo quella notte: Miguel, le sue mani su di me, quel flash accecante puntato dritto negli occhi. Le immagini mi perseguitavano, mescolandosi alla sensazione di impotenza che Lio aveva lasciato dietro di sé. Ero sospesa tra il desiderio di proteggere Lio e l'incapacità di proteggere me stessa.

Quella mattina, mi alzai e dopo un bagno caldo mi vestii con il capo più bello che possedevo, un vestito verde petrolio edizione limitata. Non avevo nessuna meta. La scuola era chiusa, e in fondo era l'ultimo posto in cui sarei voluta andare. Mi truccai e cercai di apparire perfetta, ma perfetta per chi? Non lo ero nemmeno per me stessa. Bugie, bugie e ancora bugie: la mia vita era solo un accumulo di menzogne.

Scorrendo Instagram, vidi foto di vite felici, regali costosi, tavole imbandite. Sotto al garage dell'hotel, i miei mi avevano fatto trovare un'Aston Martin blu notte, senza biglietto d'auguri, solo un fiocco rosso. Avevo preso la patente a settembre, e quello era il loro regalo di Natale. Avrei dovuto essere felice, no? Eppure, non lo ero. Forse Lio aveva ragione: ero solo una bambina capricciosa, incapace di apprezzare ciò che avevo.

Era il trentuno dicembre. Mi scattai un selfie, cercando di sfoggiare il sorriso più falso, e misi in mostra la collana di Cartier. Scrissi una didascalia banale: "Queste vacanze sono state molto rilassanti, piene di gioia e sorprese". Nel carosello caricai anche la foto dell'auto con il fiocco e altre scattate al ristorante dell'albergo, con tavole imbandite e piatti che non avevo neanche toccato. I commenti negativi arrivarono subito: "Figlia di papà", "Vuoi fare anche a me un regalo come quello che hai fatto a Miguel?". Smisi di leggere, bloccai il telefono e lo gettai nella borsa.

Dovevo uscire. Troppi giorni chiusa qui dentro. Quella sera ci sarebbe stata la festa a casa di Loreta Pasedo, la figlia perfetta dei migliori amici dei miei genitori. Non avevo ricevuto l'invito, ma niente mi avrebbe fermata. Pensai alla frase del mio film preferito, Dirty Dancing: "Nessuno mette Baby in un angolo". Niente e nessuno mi avrebbe fermata. Io ero Lola Garcia, e dovevano ficcarselo in testa.

Un clochard a BilbaoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora