Dodici

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LIO

Appena richiusi la porta della camera, mi appoggiai con la schiena contro il legno freddo, cercando di riprendere fiato. Il mio respiro era irregolare, quasi spezzato, e il cuore sembrava voler sfondare la cassa toracica. Era come se mi avessero appena tolto un peso dal petto solo per metterne subito un altro, più opprimente. L'immagine di lei con quel vestito aderente continuava a perseguitarmi. Lo spacco vertiginoso rivelava troppo e, allo stesso tempo, non abbastanza.

Mi passai le mani tra i capelli, afferrandoli con forza, come se questo potesse calmare il tumulto dentro di me. Mi sedetti sul bordo del letto, le gambe divaricate, i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Cercai di razionalizzare, di spegnere il fuoco che mi bruciava nelle viscere, ma era inutile. Quella ragazzina stava giocando con me, sapeva esattamente cosa fare per farmi perdere il controllo.

Sentivo un fremito in tutto il corpo, una tensione che non riuscivo a sciogliere. Stava tirando fuori da me parti oscure, profonde, che avevo sempre tenuto nascoste. La sua provocazione era una sfida, un invito a lasciarmi andare, a perdermi completamente in ciò che sentivo.

E io ero lì, a combattere contro me stesso, anche se, quel confine sottile tra desiderio e follia era già stato superato nel momento in cui i nostri sguardi si erano incrociati.

Dal momento in cui avevo accettato questo maledetto lavoro, mi era entrata dentro una sensazione che non riuscivo a scrollarmi di dosso. La voglia di proteggerla era diventata una morsa viscerale, un impulso che mi avvolgeva ogni volta che la vedevo. Un istinto crudo, primordiale, che non mi dava tregua. Non potevo spiegarlo e, in fondo, nemmeno volevo.

Ogni volta che incrociavo il suo sguardo, qualcosa dentro di me scattava, una scintilla che bruciava senza che io potessi fermarla. Era come se ogni fibra del mio corpo mi urlasse di tenerla al sicuro, di essere il suo scudo. E per quanto cercassi di ignorare quel pensiero, mi colpiva con la forza di un pugno nello stomaco.

Mi passai una mano sul viso, quasi nel tentativo di scacciare via quel groviglio di emozioni che non riuscivo a controllare. 

La mia mente tornava sempre a lei... la mia piccolina. Il nome mi sfuggiva in silenzio dalle labbra, come un sussurro rubato al vento. Non avrei dovuto pensarla così, non era giusto. Eppure, non potevo farci niente. Era una parola che mi riempiva di calore e dolore allo stesso tempo, una ferita aperta che cercavo di nascondere persino a me stesso.

E quel vuoto che sentivo ogni volta che la guardavo, quel nodo stretto allo stomaco, mi faceva capire che forse c'era qualcosa di irrisolto, qualcosa che non volevo ammettere. Ma non importava. L'unica cosa che contava era che avrei fatto qualsiasi cosa per proteggerla, senza mai far trapelare il vero motivo che mi spingeva a farlo. Perché certe ferite non si vedono, ma ti consumano dall'interno, pezzo dopo pezzo.

Mi strappai di dosso lo smoking con un gesto deciso, come se togliendomelo volessi liberarmi anche del peso della serata. La stoffa mi si era incollata alla pelle, ogni fibra sembrava volermi tenere legato a quel mondo artificiale di sorrisi forzati e sguardi di circostanza. Entrai sotto la doccia e lasciai che l'acqua bollente scivolasse sul mio corpo, sciogliendo ogni tensione. Chiusi gli occhi, ascoltando il suono delle gocce che rimbalzavano sul pavimento, come un tamburo che scandiva il mio ritorno alla realtà.

Quando rientrai in camera, un'inaspettata folata di vento mi colpì in pieno. La finestra era rimasta socchiusa, il vetro si muoveva leggermente sotto la pressione di una brezza gelida che sembrava infilarsi ovunque. Maledizione. Quasi febbraio, e fuori c'erano dieci gradi. Per un attimo tremolai, il freddo mi punse la pelle ancora umida. Mi affrettai a chiudere il serramento e finalmente sentii il calore della stanza avvolgermi di nuovo. Le camere del Lolita erano ben riscaldate, anche se per quello che costavano era il minimo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: 4 days ago ⏰

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