Lio
Mi ero infilato in un casino. Ne ero perfettamente consapevole. Ero lì, seduto nella Hall, con il cervello in ebollizione, aspettando da più di mezz'ora che Lola scendesse per accompagnarla a scuola. Puntuale come un orologio rotto, sempre in ritardo. Non riuscivo a capacitarmi di come una persona potesse vivere a quel ritmo costante, frenetico, come se avesse un motore interno sempre acceso, spinto a duemila, senza mai fermarsi a pensare, a riflettere. Lei non aveva il lusso del pensiero, era tutta azione e capricci.
Nell'ultima settimana, la mia vita si era trasformata in un continuo susseguirsi di momenti, che avevo già vissuto in passato, ma ora mi sembravano vuoti. Negozi, vestiti, profumi, cianfrusaglie di ogni tipo. Lei diceva, io eseguivo. Nessuna possibilità di replica. A me sarebbero bastati tre paia di pantaloni e qualche maglione, uno per ogni giorno della settimana. Invece lei comprava come se il mondo potesse finire domani. E ogni volta che entrava in uno di quei negozi, era come se mi annullassi un po' di più. "Decido io", sembrava essere il suo mantra.
Avevamo discusso di questo, eccome se avevamo discusso. Una volta, dopo l'ennesima incursione nei negozi, le avevo fatto notare quanto fosse superficiale comprare oggetti di cui non aveva bisogno. Lei mi aveva guardato con quell'aria da principessa viziata, e aveva scrollato le spalle. "A me piace", aveva risposto. E con questo, ogni tentativo di ragionamento era stato vanificato. Mi aveva anche preso un orologio. Un orologio costoso, inutile per i miei gusti minimalisti, ma "essenziale", a suo dire. Poi c'era il cellulare, altro acquisto superfluo, per "stare sempre in contatto" e riempirmi la vita con ottomila video dei posti più assurdi in cui sarebbe voluta andare. Video di città lontane, resort esclusivi, auto di lusso. Io, invece, sognavo solo di dormire una notte intera senza la sua musica a tutto volume che rimbombava dal bagno ogni volta che si faceva la doccia. Mi svegliavo nel mezzo della notte con i bassi che facevano vibrare le pareti, mentre lei ballava tra le piastrelle con i capelli pieni di schiuma, come se il mondo fuori non esistesse. La mia vita era diventata una coreografia surreale, e io non ero nemmeno invitato a ballare.
Guardai l'ora, le otto meno dieci. Era il suo primo giorno di scuola, dopo le vacanze di Natale, e sarebbe arrivata in ritardo. Forse, pensai, lo faceva a posta, forse non le importava nulla. Forse era solo l'ennesimo modo per ribellarsi a quel mondo che sembrava non darle mai abbastanza. Ma questa volta c'era qualcosa di diverso. Mi preoccupai. Non potevo permettermi di ignorare quei segnali. La sua incoscienza e il suo rapporto disastroso con la realtà mi mettevano ansia.
Decisi di salire in camera. Non c'era nulla di pericoloso lì. Avevo tolto tutto. Le lamette, lo specchio crepato del bagno, ogni medicinale. Non potevo fidarmi di lei. Dovevo controllare ogni cosa, come un baby sitter disperato che cercava di evitare la catastrofe. Ecco come mi ero ridotto, a fare da balia a una diciottenne viziata e indomabile. Avrei dovuto capire subito che non era una situazione gestibile. Ma ormai ero lì, legato a lei da un filo invisibile di responsabilità e frustrazione.
A dirla tutta, era meglio della strada. Avevo un letto in cui dormire, e la mia schiena ringraziava. Mi faceva ancora male, certo, ma nulla a che vedere con quei giorni in cui dormivo su panchine fredde, rannicchiato contro il vento, con addosso vestiti luridi e strappati. E ora? Avevo persino un guardaroba. Non era roba mia, certo, Lola mi aveva praticamente vestito da capo a piedi, ma almeno avevo qualcosa di decente. Anche i miei capelli, adesso, avevano un senso. Li avevo lasciati lunghi, ma non troppo, giusto per non sembrare del tutto addomesticato. Un compromesso tra quello che ero stato e quello che, forse, stavo ritrovando.
La barba era il mio scudo, un po' selvaggia, un po' anarchica. La lasciavo così per scelta, come una piccola ribellione personale. La tenevo accorciata giusto quel tanto che bastava per non sembrare un vero barbone, ma nulla di più. Mi piaceva l'aria di mistero che dava, quel senso di distacco che teneva a distanza le persone curiose. Era un po' come indossare una maschera: un po' di disordine per coprire qualcosa che non volevo mostrare.
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Un clochard a Bilbao
ChickLitLola Garcia ha tutto: soldi, potere e una vita perfetta... fino a quando un errore la trascina in uno scandalo che rischia di distruggerla per sempre. Proprio quando pensa di non avere più vie d'uscita, incontra Lio, un uomo misterioso che ha perso...