7. Il giovane e il mare

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La flotta era armeggiata nei pressi dell'Arsenale, in un via vai di barche e carretti che stipavano viveri, armi e uomini in quantità. Da dietro un angolo il Berto lanciò uno sguardo veloce, richiamato dalle trombe del reggimento che suonavano l'adunata. Intravide la Vittoria, avvolta nel suo bello scialle, che lo salutava. Le sorrise. Poco lontano, il Cosimo teneva per mano la Beatrice. Lui aveva lo sguardo pieno di lacrime, lei di determinazione. Il Berto sorrise di nuovo.

Sul ponte della nave, il Capitano Cuorsepolcro e l'Alfiere Ambrogio mettevano in arte il trasporto e il servizio dei Maledetti. Il Sior Nochier e i Fanti da Mar, invece, riservavano il proprio baccano per le reclute e i propri amori che li guardavano dai moli e i ponti.

Una tromba fortissima sovrastò il fracasso del vociare e dei cantieri. La flotta chiamava l'imbarco.

"Eccomi, eccomi" brontolò il Cosimo, tirando su col naso e gli occhi segnati di pianto.

"Stai bene?" gli chiese il Berto.

"Sì, sì" rispose lui, che evidentemente bene non stava.

Il Berto gli mise in mano la Spuma del Mare. Il Cosimo lo guardò tirando su col naso, domandandogli se lo stesse facendo davvero.

"Avanti, portaglielo!" gli disse il Berto.

"Sì, sì" mugugnò il Cosimo, correndo giù a spintoni e bestemmie dalla passerella.

La Beatrice se lo portò al cuore. Il Berto allora volse lo sguardo al proprio, di cuore, alle impronte che la Vittoria gli aveva lasciato sopra, alle cicatrici che Malaspina vi aveva inciso. Il vento agitava gagliardo stendardi e bandiere. La luna argento dei Maledetti di Cuorsepolcro splendeva del sole delle grandi occasioni, il leone di San Marco aveva la spada sguainata. Le galere calarono i remi in acqua e la Serenissima si affollò per ponti e calli, chiese e gradinate, gridando per i propri amati che costeggiavano la città al rullare dei tamburi. La sfilata proseguì fino all'ombra del campanile della cattedrale, dove una piazza gremita era campo in festa di drappi e cappelli. Dal balcone del suo palazzo, il Principe Marinaio teneva il braccio alzato. Gli equipaggi cantavano la guerra e San Marco, piangendo per i propri cari lasciati al sicuro lontano dai loro abbracci.

Te amo! Sposense quando son de olta! A che te mea paghi! [1]

Il Berto ascoltava commosso l'amore e la guerra che venivano lanciati da un lato all'altro del canale, mentre i canti e i tamburi gli facevano tremare il petto. Si voltò verso il cassero. Il Capitano Cuorsepolcro stava con la sua camicia più bella bene in vista, reggendo il magnifico cappello levato in alto. Al suo fianco, l'alfiere Ambrogio teneva il gonfalone della Compagnia in una mano, un fazzoletto bianco nell'altra. Quindi la galeazza ammiraglia, la Santa Zacaria, voltò la prora al largo. Il Berto si precipitò coi butei a prora, per ammirare il sempre emozionante momento in cui le vele prendevano il vento, e la laguna cedeva il posto al mare. Al comando del Sior Nochier, anche le vele della Santa Marta si gonfiarono, e loro quasi finirono a terra. Le onde spumeggiarono contro i loro visi, mescolandosi alle lacrime e alle risa, leggermente amare di sale e di pianto. La Armada de mar sfrecciò fra le isole della Laguna col passo certo di chi sa gli verrà sempre ceduto. Operai in battello piantavano pali ai lati dei canali. Fermarono canti e martelli per levare i cappelli. Barche e barchette si diradarono, fino a quando rimase qualche cacciarane a fare capolino dalle fronde di piccole isolette sparse.

"Il Nostro Mare" si dicevano i Fanti da mar, commentando l'incredibile affronto che andavano a punire.

Eppure, fra i canti e le spacconerie, strisciava inquietudine.

"Il Cancello Orientale. Caduto. Come è possibile?"

"Saranno ancora tese le catene?"

"Ho dei parenti, laggiù. Sono in marina!"

Guerra d'essereWhere stories live. Discover now