"Ahi! Ahia!"
Il povero Cosimo si lamentava vergognosamente mentre una monaca gli suturava il sopracciglio destro.
"E questi sarebbero i nostri soldati degli stati de tera?" osservò la Superiora con disprezzo, "povere, povere noi!"
Il Cosimo abbassò lo sguardo con vergogna. Il Berto invece, dal letto a fianco, si limitò a brontolare. Al lui era andata peggio. Il Caporale Tiozo si era rivelato un osso più duro del previsto: ora aveva un occhio pesto e un dente che ballava.
"Bell'idea, Berto. Proprio una bella idea!" lo schernì il Cosimo.
"Facciamo che la proffima volta che ci fervono delle palle chiamiamo qualcun altro, che dici?" gli rispose il Berto irato.
La povera monachella era in evidente imbarazzo dalla piega che stava prendendo la conversazione, e lo dimostrò arrossendo.
"Taci Cosimo! Andava fatto e lo sai anche tu! Prima ci buttano a fiume, e poi offendono lo stendardo della Compagnia! Andava fatto!" lo riprese Paneto.
"State buoni, lasciate lavorare in pace la sorella!" li riprese una voce da uno dei letti.
"Fatti i cazzi tuoi tu!" ringhiò il Paneto.
"Lo sto facendo! Se lei mi cuce male perché voi rompete i coglioni, poi come la rimedio più la figa?"
"Ma che vuoi rimediare te, con quella faccia da mona?" lo insultò il Cosimo.
Il Berto teneva il lenzuolo fin sopra il naso dolorante, in un misto di vergogna e rassegnazione. Vergogna perché le aveva prese, rassegnazione perché faceva piuttosto male e non poteva farci un bel niente. Il soffitto del monastero era in volte di mattoni, con ampie finestre da cui entrava la luce del giardino. Le stanze erano ampie e pulite, ingentilite dal fruscio delle sottane delle monache e dal profumo dei loro unguenti. Nonostante la tempesta di insulti, trovava tutto l'ambiente e la branda estremamente confortevoli. Face per chiudere gli occhi e sprofondare nel sonno dei giusti, quando l'aria si fece improvvisamente pesante e silenziosa. Aprì gli occhi, e il soffitto che prima gli era sembrato così ampio e luminoso adesso era basso e opprimente. Senza possibilità d'errore, riconobbe il passo lento e irregolare del Capitano Cuorsepolcro.
Ossior. Terrò gli occhi chiusi, si disse, manco fosse un bambino nascosto a letto la domenica mattina.
Dai, magari tira dritto. Mica penserà che sia colpa mia!
Toc, tac, toc, tac cantava la canzone della sua preoccupazione, invece, col gran finale che si concluse proprio a fianco della sua branda.
Cazzo, si disse il nostro povero Berto.
Il silenzio perdurava. Nonostante non sentisse nessun suono, il Berto capiva benissimo che il Capitano lo stesse chiamando dal regno di Orfeo con il suo sguardo da fucina.
Cazzo.
Obbedì, aprendo lentamente gli occhi poco sopra il lembo del lenzuolo.
"Fì, fignore?" sussurrò il Berto soffiando dal dente ballerino.
Il Capitano gli fece cenno con le dita di spostare il lenzuolo. Il Berto obbedì, mostrando un labbro rotto e uno zigomo contuso. Il Capitano mugugnò, facendo crescere la tensione che ormai era quasi insostenibile. Il Cosimo, memore delle scudisciate prese alla Torre della Ragione, si accasciò fra le braccia della monachella.
Aiuto! Sbuffò lei, mentre tentava di reggere il peso del povero Cosimo.
"Pare che i vostri cuori siano più forti dei vostri pugni" osservò tetro il Cuorsepolcro.
![](https://img.wattpad.com/cover/368097124-288-k477320.jpg)
YOU ARE READING
Guerra d'essere
Fantasía'Sa ghèto da far, bel fiol dela nona? Te pensi al Sior, al laoro, a 'na dona? Nona, g'ho 'l cor en tortòr, la guida mia bona, so mia 'sa far, ma sè che de guera l'è l'ora. Cosa devi fare, bel bimbo di nonna? Pensi al Signore, al lavoro, a una don...