Al mattino decise di alzarsi e di prepararsi, per lottare ancora un po' per il suo sogno. Così, dopo aver mangiato delle fette biscottate, decise di tornare lì, dove tutto era cominciato.
Era un po' insicura, ma al tempo stesso non aveva niente da perdere.
Appena arrivò non notò niente di diverso. Si posizionò al solito posto, e questa volta cercò di non farsi vedere neanche da lui. Da quella posizione, molto più nascosta rispetto ai due giorni precedenti, non riusciva ad avere una perfetta visuale. Si accontentò di ciò che rientrava nell'obiettivo per un po', poi uscì allo scoperto.C'erano un sacco di ragazzi e ragazze. Alcuni provavano dei salti, altri parlavano tra di loro. Alcuni ragazzi non avevano la maglietta, altri indossavano una canotta. Le ragazze avevano delle magliette corte fin sopra l'ombelico e dei pantaloni larghi. Avevano tutti una cosa in comune: un tatuaggio.
Tranne lui.
Si trattava di un piccolo simbolo sul collo, abbastanza colorato. Ma perché lui non lo aveva? Forse perché doveva ancora entrare, forse perché doveva fare una prova prima di potersi considerare davvero uno di loro. I nuovi arrivati infatti dovevano tenere lontani tutti coloro che li sbirciavano o li infastidivano.
Ecco perché si era comportato in quel modo con lei.
Si girò per prendere la bottiglia d'acqua nel suo zainetto, e poggiando la mano sull'erba si rese conto che non era più dove l'aveva lasciato.
Con lo sguardo ancora basso vide quattro piedi.
Alzò lo sguardo e si trovò davanti due ragazze.
« E tu, cosa ci fai qui? » - disse una di loro.
« Io? Beh, io niente... Stavo facendo due passi. » - rispose Felicity.
« Avevamo notato un movimento al quanto strano, ma non ci siamo mai accorti della tua presenza qui. » - disse l'altra.
"Oh merda", pensò Felicity, "non aveva avvisato gli altri per non farmi affrontare questo. Sono proprio una stupida."
« Me ne stavo giusto andando. »
« Oh no tesoro, ora verrai con noi. »
La presero per la maglia e la portarono giù, dove c'erano tutti quanti. La spinsero e la fecero inginocchiare, davanti a tutti. Il suo sguardo incrociò quello di lui, e subito dopo lei lo abbassò.
« Abbiamo trovato questa tenera fanciulla che scattava delle foto. » - dissero loro.
« Fatele quello che facciamo a tutti. » - rispose il "leader".
Alzò lo sguardo.
« Non volevo infastidirvi. Sapevo delle vostre regole, ma sono al quanto affascinata dal vostro mondo e non ho resistito. Non volevo... » - non finì di parlare che le arrivò uno schiaffo dritto sulla guancia.
« Zitta. Non opporre resistenza, altrimenti sarà peggio per te. » - le disse.Quelle due ragazze la presero per le braccia e la trascinarono in un posto più isolato. Nel frattempo se ne andarono tutti da lì: ormai era diventato buio.
Le distrussero la Reflex.
Gliela buttarono a terra ripetutamente, e si danneggiò. La chiamarono con vari aggettivi dispregiativi ma non se ne curò. Le tirarono degli schiaffi e dei pugni. Era quello ciò che si meritava la gente che voleva guardarli.
Il senso dove era?
Qualcuno fischiò.
Le dissero: « La prossima volta resta a casa », e se ne andarono sputandole in faccia.
Incominciò a piangere. Si pulì il viso dallo sputo con la sua maglietta e incominciò a prendere le sue cose a terra.« Perché sei tornata? »
Alzò lo sguardo: era lui.
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Le cose che non ti ho detto mai
Lãng mạnCome può un incubo indurre all’infelicità spezzando tutto quell’equilibrio che si era da poco creato nella sua vita?