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« Ti avevo detto di non farti più rivedere. »

Non gli rispose. Finì di mettere tutte le sue cose nello zainetto e fece per andarsene.
« Ma ti pare. Avvisi le persone per metterle in guardia, non ti ascoltano e poi non ti danno neanche spiegazioni. Certo che sei strana, chiunque tu sia. » - le disse.
« Potevi anche non farlo. »
« Bene, allora ciao. »
« Stammi bene. » - rispose Felicity.
Lei se ne andò mentre lui la guardava andar via nella notte, fin quando non vide più la sua sagoma.

Incominciò a correre. Era buio pesto, le luci erano spente ed era anche tardi. Tirava un vento fresco. Lo sentiva così bene sulle ferite, sulla pelle lacerata, su quei lividi che si stavano formando. Le lacrime le disinfettarono per metà le ferite aperte e, una volta a casa, si tolse il sangue dal viso.
Erano stati dei mostri.

Doveva trovarsi un lavoro per ricomprare la Reflex. Quella, ormai, era praticamente distrutta. Aggiustarla sarebbe stato inutile. Avrebbe dovuto lavorare un bel po', forse tutta l'estate, per potersi permettere una nuova Reflex.
Lei viveva da sola. I suoi le avevano affittato un appartamento mentre loro viaggiavano per lavoro. Le pagavano tutto: l'affitto, le bollette e le lasciavano dei soldi per la spesa. Lei, tuttavia, cercava di lavorare sempre, per non rimanere mai senza soldi. Con tutto quello che le pagavano, non avrebbe potuto chiedere ulteriori soldi per ricomprarsi una cosa che già aveva.

Lasciò perdere, e decise che il giorno seguente sarebbe andata a cercare un lavoretto estivo nel paese.
Si preparò una tisana, e andò a dormire, tutta dolorante.

Si svegliò di malavoglia, distrutta dalla sera precedente. Non riusciva neanche tanto ad alzarsi per tutte le botte che aveva preso. Si alzò e si fece una doccia fredda, preparandosi poi per uscire.

Andò alla ricerca di un lavoro estivo.
Chiese a varie pizzerie e bar, e solo uno la prese a lavoro. Avrebbe dovuto cominciare il giorno stesso, con un orario proporzionato alla paga.
Il proprietario le lanciò la sua divisa, che consisteva in un classico grembiulino, e cominciò a spiegarle tutte le cose basi che c'erano da sapere. Si trovava a disagio, era confusa e non riusciva a connettere il tutto. Le cose erano tante e lei era appena arrivata. Si guardava intorno e non vedeva nulla di familiare. Si fermò al centro del bar, perplessa, e Giuseppe, il proprietario, la richiamò.
« Cerca di non perdere tempo e di adattarti molto velocemente: c'è tanto lavoro da sbrigare. » - le disse.
Lei annuì e si mise all'opera.

Dopo una giornata di lavoro era esausta. Staccò alle 18:00 poiché a quell'ora cominciava un altro turno, e si diresse a casa, a piedi. Arrivata davanti la porta di casa, rallentò bruscamente. C'era qualcosa che non andava. Si avvicinò lentamente e notò una scritta sulla porta fatta con una bomboletta spray.
C'era scritto "la lezione non ti è bastata".
Si passò la mano tra i capelli, domandandosi cosa avesse fatto, ancora.
Entrò in casa, gettò per terra la borsa e il telefono, prese dell'acqua, del detersivo e una spugnetta. Si inginocchiò e incominciò a strofinare per eliminare quella brutta scritta prima che qualcuno si mettesse lì, a guardare e a fotografare.
« Dopo una giornata di lavoro vedi cosa devo mettermi a fare. » - disse.
La scritta non andava via. Mentre continuava a strofinare passò una macchina che si fermò proprio davanti la sua porta.
Qualcuno le disse: « Vedi tesoro, è questa la fine che fanno le persone come te. »
Si voltò. Alla guida c'era il ragazzo che l'aveva vista al parco scattare le foto mentre il ragazzo che aveva appena parlato scese dalla macchina, si diresse verso lei e una volta raggiunta si abbassò.
« Sai, hai fatto l'errore peggiore della tua vita. Mi dispiace rovinare questo bel visino, ma te lo meriti. » - non le diede neanche il tempo di parlare che le tirò un pugno e in seguito le mise le mani intorno al collo e la sollevò di qualche centimetro in più rispetto alla sua altezza.
« Queste sono le regole, e le regole si rispettano. » - le disse.
Stava per farla ancora più male quando il ragazzo alla guida gli si avventò contro.
« Ora basta, smettila Brendan. Le fai male. » - gridò.
« Non pensavo fossi una femminuccia. Finiscila tu. »
« Non finisco nulla, lasciala in pace. » - lo tirò per la maglia e il tale, Brendan, seguì il suo consiglio.
Una volta in macchina, lui la guardò, mise in moto e prima di ripartire, la guardò di nuovo. Se ne andarono, lasciandola con il naso sanguinante e ancora la scritta sulla porta.
Quella serata passò con lei che continuava nell'intento di eliminare quella scritta mentre cercava di far cessare il sangue dal naso.

Andò a dormire, con la speranza che quel brutto incubo fosse terminato.

La mattina si preparò per andare a lavoro e fece colazione.

Aprì la porta e trovò una rosa rossa con un bigliettino.  Prese quest'ultimo e lo lesse.

C'era scritto:
"Spero tu stia meglio. -C"
C? Chi era C?

Infastidita prese la rosa e il bigliettino e buttò il tutto in strada.

Le cose che non ti ho detto maiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora