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Si incamminò verso il bar e una volta arrivata iniziò a lavorare. Giuseppe arrivò all'ora di pranzo, e appena la vide, la prese in disparte e le disse: « Cosa hai fatto all'occhio e al naso? »
« Sono caduta. » - rispose Felicity.
« Questi lividi non sono di una caduta. Hai qualche problema con qualcuno? »
Esitò nel rispondere ma alla fine disse un secco « No. »
« Torna a casa, ci vediamo domani. Non c'è tanta gente . Vai e prenditi cura di te. » - le disse Giuseppe.
« Non ho bisogna di riposo, sto bene, davvero. »
« Vai, e ricordati che se hai qualche problema, fammelo presente. A domani. »

Non voleva tornarsene, ma forse era stata una buona idea. Era stanca e voleva riposare.
La rosa della mattina non era più in mezzo la strada, ma di nuovo davanti la porta.
Qualcuno era passato per vedere se c'era ancora e l'aveva rimessa lì. Non capiva chi fosse: il tizio che il giorno precedente l'aveva picchiata non poteva essere.
Si chiamava Brendan, con la B, non con la C.
Tutto quello la innervosiva. Prese la rosa e la tagliò, ci tolse tutti i petali e il bigliettino lo accartocciò. Rimase tutto davanti la porta, in modo che se fosse passato di nuovo, l'avrebbe vista. Entrò e si preparò del pane con la nutella. Si mise a guardare la tv quando ad un certo punto, qualcuno bussò alla sua porta.
Si alzò di malavoglia e andò ad aprire con un boccone di pane e nutella in bocca.
« Chi diavolo è? » - disse mentre apriva la porta.
Spalancò gli occhi. Era il ragazzo del parco, colui che guidava il giorno precedente.

« Ho visto che la rosa si è spezzata e te ne ho portata un'altra. » - disse lui, consapevole del fatto che lei l'aveva rotta. Sorrise.
« Ah, allora sei tu. Pensavo chissà chi fosse. »
« Allora sarò solo uno dei tanti che ti porta una rosa, ma intanto faccio parte della lista. » - sorrise leggermente.
« Lasciami in pace. » - fece per chiudere la porta ma lui mise il piede e la fermò.
« Volevo chiederti scusa da parte di Brendan, per ieri. » - le disse, e abbassò lo sguardo.
« In verità sei tu che vuoi chiedermi scusa, non lui. Non vorrebbe neanche che tu fossi qui, non è così? Non ho bisogno né delle tue scuse e né delle tue rose. » - protestò Felicity.
« Non pensavo fosse in grado di trattare così una ragazza, io non avevo idea delle sue intenzioni... Ti aiuterò a togliere quella scritta, ho il materiale adatto. » - disse.
« Non mi serve il tuo aiuto, puoi andartene. »
Rimase in silenzio.
« Non voglio la tua pena. Non voglio che tu lo dica solo per toglierti un peso da dosso, quindi vattene. » - ribadì Felicity.
« Non lo dico per questo, devi credermi. »
« Vattene ugualmente. »
Felicity si mise di spalle, e dopo un paio di minuti sentì la porta chiudersi e poi il rumore di una moto partire. Si girò e vide la rosa lì, sul tavolo, con un altro bigliettino.
Questo diceva:

"Anche se non vorrai, mi prenderò cura di te. -C"

Sorrise, poi prese un vaso, lo riempì con dell'acqua e ci mise la rosa. Prese una piccola scatolina di legno e ci mise il bigliettino. Il tutto poi lo lasciò vicino al vaso.

Anche se da una parte le infastidiva il tizio con la rosa e un bigliettino, la rassicurava il fatto che qualcuno le volesse dare una mano durante una situazione così complicata per lei.

Continuò a pensare a quel ragazzo, alle rose e alle parole che le aveva detto. Nonostante tutto, era contenta che si preoccupasse, anche se non capiva il motivo di tanta cattiveria da parte di quel tale, Brendan.

C le ricordava un po' quell'affetto che non aveva mai avuto l'onore di provare.
Si addormentò con il sorriso sulle labbra.

Al mattino si svegliò per il rombo di una moto.
Si alzò di scatto e andò ad affacciarsi alla finestra: lo vide abbassarsi la visiera del casco, e partire.
Corse alla porta, l'aprì e trovò un'altra rosa. Poteva mai mancare il bigliettino? Certo che no. Lo aprì.

"Buon risveglio Felicity. -C"

Come sapeva il suo nome?
Prese la rosa e col dubbio ancora in testa la mise nel vaso mettendo invece il bigliettino nella scatola di legno.
Si iniziò a preparare per il lavoro, e poi uscì di casa. Le aspettavano delle ore pesanti: era sabato, e di sabato c'era più gente del previsto. Per fortuna aveva l'ora di spacco per il pranzo.
« Come stai oggi Felicity? » - le chiese Giuseppe.
« Meglio, grazie. Inizio il turno. » - rispose.
« D'accordo, io sono alla cassa. » - disse sorridendole leggermente.

Erano ormai le 13:00, così si diresse verso casa per il pranzo.

C era lì, con una salopette bianca ed una maglia a mezze maniche rossa, intento a ripristinare il suo portone.
Poi vide un'altra rosa lì, affianco a lui.

« Non dovevi preoccuparti così tanto... » - gli disse.
« Oh, sei già qui... Credevo tornassi più tardi, non ti aspettavo così in fretta. » - rispose C.
« È pur sempre casa mia, ricordalo. »
« Me ne stavo andando, tranquilla Felicity. »

Lei gli porse la mano.
Lui la strinse delicatamente e si alzò, prendendo con l'altra mano la rosa.
Gliela porse: si vedeva che era imbarazzato. Il suo viso cominciò ad arrossarsi.
La guardò con i suoi occhi così scuri che sembravano quasi neri.
Le guance di Felicity divennero leggermente rosate.
« Passo domani a finire, ora ti lascio. » - disse.
« Avrai fame. Anche io ne ho. Ti va di mangiare? » - sorrise leggermente.
Le fece un sorrisone che si incantò e rimase lì a fissarlo per qualche minuto.

Dalla prima volta che lo aveva visto, lì, al parco e nelle sue foto, aveva sentito come un senso di appartenenza interiore. Le sembrava di conoscerlo da una vita, di averlo già visto da qualche parte, di aver ricordato il suo viso precedentemente al loro incontro. Quegli occhi, così scuri ma non troppo, cercavano di creare una sorta di muro difensivo, ma era cosciente del fatto che in fondo ogni muro poteva essere scavalcato. E il suo sorriso sembrava rassicurarla e trasmetterle quella felicità pura che non aveva mai provato prima. 

Le cose che non ti ho detto maiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora