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« Da ragazzino avevo molta voglia di entrare a far parte di quel gruppo. Volevo che il mio sogno diventasse realtà, e col tempo ho fatto tutto quello che era necessario fare per renderlo tale. Devi sapere che per entrare in quel gruppo ti mettono alla prova, convincendoti a fare quello che in realtà dovrebbero fare loro. Ero eccitato all'idea. Trasgredire la legge, fare qualcosa di estremamente forte per essere considerato parte di loro. Io avevo il compito di dire loro se c'era qualcuno che ci sbirciava o che trasgrediva le regole, così la prima volta che ti vidi non dissi nulla. Una ragazza, lì, intenta a scattare foto non l'aveva mai vista. Ma forse mi piaceva anche il fatto che non avevi mollato. Ti venni ad avvisare, senza dire nulla agli altri, ma quando le ragazze ti beccarono, oltre a far male te, lo fecero anche a me. » - alzò la maglietta. Aveva inciso sull'addome "traditore" con un coltello; continuò - « Avevano capito che io non li avevo avvisati e da quel momento è stato più complicato. Non solo sono dovuto stare a quello che dicevano le ragazze, al fatto che dovevo essere il ragazzo di una di loro, che l'avrebbero detto in giro e altro, cosa che poco mi importava conoscendo i soggetti, ma mi hanno obbligato a scriverti sul portone. » - abbassò lo sguardo - « Sono stato io, non Brendan. Lui voleva che ti picchiassi, ma mi sono rifiutato. Dopo quello che ti avevano fatto al parco, avrei voluto che non ti torcessero neanche un capello. Mi è dispiaciuto così tanto dell'accaduto che mi sono tirato fuori, decidendo di venire a riparare io, di tasca mia, il guaio che avevo fatto. » - si passò la mano tra i suoi capelli biondo cenere e poi la guardò - « Il proprietario del mio appartamento mi ha dato un altro giorno per andarmene per quello che hanno combinato alla mia porta, sul pianerottolo e per aver distrutto il citofono all'entrata. Non so dove andare ma soprattutto non so come fare con loro. Sapevo del fatto che girano per di qua per controllare: l'altra notte stavo passando per vedere se era tutto ok e li ho visti dall'altra parte della strada. Se ne sono andati dopo un'ora. » - le prese la mano - « Io non ho intenzione di lasciarti in questo stato, con gente del genere che ti sorveglia. Mi prendo le mie responsabilità, e ti chiedo scusa per quello che stai passando ma sto cercando di uscirne, solo che mi serve tempo. » - abbassò di nuovo lo sguardo.
« Non voglio che tu ti metta nei guai per me, ma se vuoi davvero entrarci in quel gruppo... » - gli disse.
« No, non voglio più. Non voglio saperne niente. » - la interruppe.
« Immaginavi delle prove diverse? » - gli chiese.
« Non credevo che per entrare in un gruppo bisognasse picchiare una ragazza. » - la guardò - « Non riuscirei neanche a darti un pizzicotto. » - sorrise.
« Mi dispiace per i guai che ti hanno causato. » - disse Felicity.
« Non importa, ora cercherò un nuovo appartamento per di qua. » - rispose.
« Nel frattempo puoi venire a star qui, se ti fa piacere. »
« Non voglio approfittarne. »
« Non lo fai. » - gli sorrise.
Felicity si avvicinò o lo abbracciò.
« Voglio ricambiare ciò che stai facendo per me. » - gli sussurrò Felicity.
Dopo poco si alzò e se ne andò, e all'improvviso quella casa sembrò più vuota del solito.

Passarono i muniti e le ore. Cominciò a far buio fuori e di Connor nessuna traccia.
Non sapeva come rintracciarlo e inoltre aveva dimenticato lì il suo cellulare.
Iniziò a preoccuparsi. Era quasi giunta mezza notte e non aveva nessuna idea di dove fosse. Si sedette sul divano e dopo poco si addormentò fin quando non sentì qualcuno bussare alla sua porta. Guardò l'orologio: era l'1:30 di mattina. Si affacciò alla finestra e vide solo un'ombra sull'asfalto. Guardò dallo spioncino e lo riconobbe. Aprì immediatamente la porta e Connor la guardò. Con un braccio si manteneva alla porta e l'altro lo aveva intorno alla vita. Aveva il viso pieno di sangue e la sua maglia leggermente strappata.
Gli diede una mano ad entrare e lo fece sedere sul divano.
« Cosa diavolo ti è successo, Connor? » - era preoccupata, la sua voce tremava.
« Niente, davvero. »
« Vado a prendere del disinfettante. » - si alzò di corsa e andò a prendere tutto ciò che le occorreva.
Una volta tornata gli disse: « Chi ti ha fatto questo? »
« Stavo andando in cerca di un appartamento e mi hanno seguito, poi mi hanno pestato. Volevo chiamare la polizia ma non ho trovato il telefono. » - rispose.
« Lo hai dimenticato qui... Domani ti accompagnerò alla polizia. » - gli disse.
Stava per alzarsi e andarsene ma Felicity lo bloccò.
« Non vai da nessuna parte in questo stato e a quest'ora. »
Lo condusse nella sua camera da letto e lo fece distendere. Gli procurò del ghiaccio da mettere sulla ferita che aveva sulla fronte e poco dopo Connor si addormentò.

Alle 7.30 di mattina Felicity si svegliò e uscì di casa, lasciando dormire ancora un po' Connor. Si diresse dal proprietario del suo appartamento, il quale lo aveva telefonato sul suo cellulare chiedendo a Felicity di andarsi a prendere tutte le sue cose.
Una volta arrivata, entrò nel suo appartamento mentre il proprietario rimase fuori ad aspettarla.
In una valigia che aveva nell'armadio mise tutte le sue cose. Riempì uno zaino con altre cose e, quando l'appartamento rimase vuoto, uscì ringraziando il proprietario.

Tornata a casa vide Connor in cucina, a torso nudo, mentre beveva una tazza di latte e caffè.
Appena si accorse che aveva la sua valigia e il suo zaino, disse: « Cazzo, il proprietario. »
« Tranquillo, non ha detto nulla. Ha telefonato un paio di volte sul tuo cellulare e mi sono permessa di rispondere. »
« Scusa tu per tutto questo disturbo... Cercherò di trovarne un altro il prima possibile... » - abbassò lo sguardo.
« Come stai? » - gli chiese. Non le importa dell'appartamento, le importava di lui.
« Meglio, grazie a te. » - le sorrise - « Ti sono in debito per tutto questo. »
« Voglio che tu ora ti riposa. Quando ti andrà andremo alla polizia. » - disse convinta Felicity.
Lui pian piano si avvicinò a lei, mise le sue mani sulle guance di Felicity che iniziarono a prendere colore e, poco dopo, le diede un bacio sulla fronte. Le disse: « Andrà tutto bene. ». Poi le diede un bacio sulla punta del naso e guardandola continuò:
« Sistemeremo anche questo. »
Le sorrise, e poi l'abbracciò.
E quello, per Felicity, fu l'abbraccio più sincero che le potesse capitare.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 08, 2015 ⏰

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