6 - (J) Cagnolini come me

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Sebbene fosse venerdì, il locale era pieno zeppo di persone. Un mix di luci colorate, odore di alcol e fumo e corpi che si muovevano e si strusciavano a ritmo di musica.

Io e i miei amici eravamo seduti in quella famosa stanza riservata di cui aveva parlato Johann, un privé esclusivo che ci teneva distanti da tutto e da tutti.

Era la serata perfetta per festeggiare, e i ragazzi non vedevano l'ora di brindare e scatenarsi. Io, però, mi sentivo distaccato da tutto quel chiasso.

C'era un senso di noia che mi avvolgeva, come se la felicità dei successi raggiunti con la nuova canzone non mi toccasse, non mi appartenesse.

Ed è stato in quel momento, proprio mentre mi chiedevo cosa ci facessi lì e prendevo in considerazione l'idea di tornare a casa, che l'ho vista.

Avevo alzato per un solo secondo lo sguardo dal mio bicchiere di whisky ed ero rimasto ipnotizzato.

Lei era al centro del palco, immersa in luci dai toni del viola e, anche se c'erano altre due ballerine con lei, era impossibile non notarla.

I suoi movimenti erano ipnotici, sensuali, ma non forzati.

Non cercava di compiacere il pubblico, sembrava ballare per sé stessa, come se non ci fosse nessun altro.

Non poteva vedermi da lì. Il vetro scuro del privé impediva a chiunque fuori di sbirciare all'interno.

Eppure, ogni volta che i suoi occhi attraversavano la stanza, avevo l'impressione che cercasse qualcosa.

I ragazzi ridevano, bevevano, ma io ero concentrato solo su di lei e, a un certo punto, qualcuno se ne accorse.

«Terra chiama Jayden, terra chiama Jayden.» Però quella frase non ricevette risposta; ero fin troppo concentrato a godermi ogni attimo di quello spettacolo.

La mano di Johann si posò sulla mia spalla. «Okay, JayJay, ho capito che è carina, ma smettila di guardarla come un coglione.»

«Hai giusto un po' di bava qui» disse Nate, sporgendosi dal suo posto fino a toccare l'angolo della mia bocca.

Forse coglione lo ero davvero, ma non mi era mai capitato di sentirmi attratto da qualcuno in questo stesso modo.

Da quello che potevo vedere era sicuramente una bellissima ragazza, ma ciò che mi attirava, che mi intrigava, era il suo atteggiamento.

Quando la musica cambiò e il suo corpo si mosse seguendo un ritmo ancora più sensuale, qualcosa scattò dentro di me.

La sua sicurezza, quella consapevolezza di sé, mi stuzzicava. Sentii un richiamo irresistibile, un desiderio fuori controllo.

Aspettai che finisse l'esibizione e, quando le luci si abbassarono, mi alzai velocemente senza dire una parola. «Dove vai?» mi chiese Hunter.

«Ho una cosa da fare» risposi, con un sorriso che lasciava poco spazio ai dubbi.

Probabilmente Joshua avrebbe voluto bloccarmi e impedirmi di uscire, ma corsi letteralmente fuori con la velocità di una scheggia.

Attraversai il locale, scivolando tra i tavoli e i corpi accaldati.

In quel momento non badai a nulla e non considerai nemmeno l'idea che qualcuno potesse riconoscermi.

Non mi importava.

Raggiunsi il backstage e bussai alla porta del camerino.
Le dita incrociate dietro la schiena, speravo di aver beccato il camerino giusto e che ad aprirmi fosse lei.

Quando la porta si aprì, lei era lì, in piedi davanti a me, con le guance ancora arrossate dalla performance e i capelli scuri sciolti che le ricadevano sulle spalle.

Mi guardò con un'espressione che non lasciava intendere né sorpresa né interesse. Probabilmente ne aveva visti tanti come me.

«Che vuoi?» chiese, senza mezzi termini. Sebbene la sua voce fosse dolce, aveva anche un tono pungente.

Mi avvicinai all'uscio della porta, sorridendo. «Ho visto il tuo spettacolo. È stato... intrigante.»

Lei mi fissò, impassibile. «E hai sentito la necessità di venire qui per dirmi questo? Beh, ora che l'hai fatto, puoi anche andare.»

Quel tono mi fece chiaramente intendere che non aveva la più pallida idea di chi io fossi, e per un momento mi sentii quasi normale. E in modo strano, mi piaceva. «Non capita spesso di vedere qualcuno così... disinteressato.»

«Invece a me capita spesso di vedere qualcuno come te qui dietro» rispose lei, incrociando le braccia al petto e sfidandomi con lo sguardo. «Non ti basta guardare? Vuoi anche toccare ora?»

Quella battuta mi fece sorridere. La sua lingua tagliente era un'arma che lei sapeva usare magnificamente. «Toccare? Non ho detto niente del genere» replicai con un tono leggermente allusivo. «Ma se vuoi offrirti...»

Lei sorrise, poi si leccò le labbra e puntò i suoi occhi verdi nei miei. Era sexy da morire. «Perché non torni a divertirti di là? Avrai sicuramente qualcuno da cui tornare.»

Fece per chiudermi la porta in faccia, ma riuscii a bloccarla col piede.

«Aspetta un attimo.» Mi avvicinai di un passo, riducendo la distanza tra noi. Potevo sentire il suo profumo, un mix di sudore, vaniglia e frutti rossi. Un profumo talmente dolce e buono da lasciarmi stordito. «Stavo scherzando, lo giuro. Non intendevo quello.»

«Oh sì che lo intendevi. Non vedo motivo per cui tu debba essere qui, se non per quello» disse, la voce piena di sarcasmo. «Pensi che sia una di quelle che si sciolgono quando uno come te ci prova? Sono una ballerina, non una puttana. Riprova con qualcun'altra, magari sarai più fortunato.»

«Uno come me?» ripetei, cercando di capire se davvero non mi avesse riconosciuto. «Cosa sai di me?»

«Che non sei meglio di tutti gli altri che mi seguono qui dietro come cagnolini. È tutto quello che mi serve sapere.»

La sua risposta mi colpì, ma allo stesso tempo accese qualcosa dentro di me.

Questa donna non solo non mi riconosceva, ma non sembrava nemmeno curarsene.

Il fatto che non avesse la più pallida idea di chi io fossi mi attirava ancora di più.

«Non mi sembri il tipo che si lascia impressionare facilmente» dissi, appoggiandomi allo stipite della porta per evitare che me la chiudesse nuovamente in faccia.

Lei mi guardò dritto negli occhi, ghignando. «Dipende. Se pensi di fare colpo solo perché sei qui a tentare di dirmi quanto sei affascinato da me, hai scelto la persona sbagliata.»

Sorrisi. «Quindi sei più tipa da cioccolatini e fiori?»

«No», rispose, mettendomi le mani sul petto e spingendomi via quasi delicatamente. «Mi piacciono le dimostrazioni. E tu, per adesso, a parte parlare a vanvera, non mi hai mostrato niente di speciale.»

«Magari dovrei iniziare.» Il mio tono era scherzoso, ma c'era qualcosa di reale sotto.

La sfida mi piaceva, mi accendeva.

Lei sospirò, alzando gli occhi al cielo. «Senti, non ho tempo per questi giochi. Se vuoi dirmi qualcosa di interessante, bene. Altrimenti, puoi tornare a guardarmi ballare come fanno tutti gli altri.»

«Mi piace avere l'esclusiva» risposi leccandomi le labbra, il mio sguardo fisso nel suo.

Lei mi scrutò ancora una volta, come se stesse cercando di capire se ero serio o meno. Poi, all'improvviso, si allontanò dalla porta e mi guardò con un sorriso di sfida.

«Se ti piace così tanto, allora guadagnatela.»

Nel momento in cui la porta si chiuse, sorrisi quasi inconsapevolmente.

Non avevo idea di dove mi avrebbe portato quella conversazione, ma sapevo una cosa: sebbene l'attrazione fisica mi avesse spinto a cercare quel contatto, c'era altro in lei, qualcosa di speciale, e io ero sicuro che non avrei mollato tanto facilmente.

Don't Let Me Love YouDove le storie prendono vita. Scoprilo ora