Capitolo 4 - Camminare da soli

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Il mondo riemerse lento, tra il tepore di coperte che non riconosceva e l'odore penetrante del legno verniciato. Un soffitto bianco e liscio le si svelò tra le ciglia socchiuse, e per un istante Yue credette di trovarsi in un sogno. Poi, l'eco dei ricordi – le urla, il sangue, e quel volto freddo come l'acciaio – le colpì lo stomaco come un pugno. Si alzò a sedere, respirando a fondo. Dov'era finita? E perché sentiva quel profumo di nuovo? Come se anche lì lui fosse presente, pur senza apparire.

La stanza era in penombra, illuminata solo dalla luce soffusa di una lampada su un tavolino, vicino a una poltrona di velluto. Al centro, una finestra dalle tende pesanti lasciava intravedere la città appena al di fuori, immersa nella nebbia del mattino. Inquieta, Yue si voltò, e solo allora notò l'odore che permeava la stanza. Era lo stesso aroma che aveva sentito poco prima di svenire: tabacco e note sottili di cuoio.

Non riusciva a capire se fosse la sua presenza che la metteva a disagio, o quella strana sensazione di essere ancora intrappolata in una trappola, un'altra forma di prigionia sotto una nuova apparenza.

Scivolò fuori dalle coperte. Il pavimento freddo sotto i piedi nudi le provocò un brivido che le salì fino alla nuca. Lasciata la camera, si ritrovò in un piccolo salotto che le ricordava vagamente una stanza d'albergo, anche se non ne aveva l'aspetto preciso.

Il cuore le balzò nel petto quando vide il suo zaino, appoggiato su un tavolino. Ci si lanciò letteralmente contro, stringendoselo al petto prima di rovistarne l'interno. C'era tutto, perfino i suoi occhiali, che si mise subito. Ma quello che le premeva davvero era il telefono.

A malincuore, ignorò una serie di messaggi e chiamate perse da parte di sua madre, scrivendole un messaggio rapidissimo prima di iniziare a comporre il numero d'emergenza della polizia. Fu in quel momento che la porta della stanza si aprì, e Yue restò paralizzata. Quell'uomo – Ashton – era tornato.

Ashton si fermò sulla soglia, le braccia incrociate e uno sguardo imperscrutabile. La tensione nel piccolo salotto divenne palpabile, tanto che Yue sentì l'impulso di fare un passo indietro, ma era come paralizzata dalla sua presenza.

"Si è svegliata," disse lui, la voce bassa che sembrava riempire l'intero spazio.

Yue si schiarì la gola, cercando di raccogliere il coraggio per ribattere, ma le parole le rimasero incastrate. Strinse il telefono nella mano, il pollice tremante sospeso sul pulsante di chiamata.

Lui abbassò lo sguardo verso il dispositivo senza cambiare espressione. "Sta pensando di chiamare la polizia?" domandò con una calma glaciale, come se la cosa non lo riguardasse affatto.

"Io... dovrei essere qui?" riuscì a dire Yue in un sussurro, costringendosi a sostenere il suo sguardo d'acciaio. "Ho... ho il diritto di denunciare quello che è successo... quello che avete fatto."

Ashton la fissò in silenzio per un lungo istante, poi sospirò, chiudendo lentamente la porta dietro di sé. Si sedette sulla poltrona di velluto, il corpo rilassato ma gli occhi vigili, come quelli di un predatore che osserva la propria preda. "Giusto," disse. "Ma prima vorrei che valutasse attentamente le conseguenze."

Yue si scostò, una risata amara le sfuggì dalle labbra. "Conseguenze?" ripeté, le spalle ora premute contro il muro. "Pensi di comprare il mio silenzio? Ho capito chi sei. Sapevo di aver già sentito quel nome... Ashton. I fondatori dei Rifugi. Vuoi solo salvare la reputazione dell'azienda di famiglia, ma se credi che-"

"Prima," la interruppe, con voce ferma. "Si sieda, signorina Li."

Un brivido le attraversò la schiena. Che lui sapesse il suo nome non prometteva niente di buono. Ashton indicò il divano di fronte a lui con un lieve movimento della mano.

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