Capitolo 1- Al mare

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In una piena giornata d'estate, di metà agosto, mi ritrovai in una piccola spiaggia, cosparsa di tante persone intorno a me.
Erano presenti persone che dedicavano il loro tempo facendosi il bagno e che giocavano a schizzarsi con l'acqua del mare, altre che si prendevano tranquillamente il sole.

E poi c'ero io. Il mio nome era Ilary. Ero una ragazza dai capelli color biondo scuro e leggeremente tendenti al mosso, gli occhi color nocciola, di carnagione chiara, con una corporatura esile, e di media altezza.

Ero l'unica in tutta la spiaggia che rimaneva isolata. Per me non esisteva nessuno. Rimanevo sempre ammirata da quel paradiso che mi si mostrava davanti: il mare.
Quell'acqua cristallina mi faceva stare bene, quel suono delle onde così sublime e melodico era qualcosa di unico.

Be', io ho sempre amato il mare, come ho sempre adorato la piscina.
Quando ero più piccola io, i miei genitori e mio fratello andavamo molto frequentemente all'acqua park, in estate abitualmente. Mi piaceva andare in quel posto, come ogni bambina\o che si diverte ad essere trascinata da quegli scivoli fantastici.

Mio padre, da quando si sposò con mia madre, divenne un pilota di aerei. Proprio per questo motivo, da piccola, fui molto abituata a viaggiare.
Difatti, girai tanti posti del mondo. Ma, solitamente, venivo sempre affascinata da quei posti in cui venivano parlate le lingue straniere, come l'inglese o lo spagnolo.

Con il progredirsi dell'età cercavo di godermi quei pochi mesi di vacanze nel migliore dei modi, facendo shopping con le amiche e magari prendendo un buon gelato.
Venivo baciata dal sole mentre contemplavo la perfezione davanti ai miei occhi, ritrovandomi a pensare a tutto ciò che era avvenuto nel corso della mia infanzia, sia in aspetti positivi, che in aspetti negativi.

Pensai a tutte le amicizie passate e a quanto potessi esser stata bene insieme loro, prima che mi abbandonassero.
Per fortuna, in quel momento della mia vita, avevo affianco le mie due migliori amiche, che paragonavo a delle sorelle per quanto ci tenessi, come la mia vita.

Pensai, anche, a tutte le persone che non fecero altro, quando ero bambina, che prendermi in giro, facendomi credere che fossi brutta e trattandomi male...
Tutte queste torture subìte mi demoralizzarono, e abolì costantemente la mia autostima.

Non ebbi più voglia di innamorarmi. Perchè dover soffrire per un ragazzo stronzo come tanti? Meglio non soffrire decisamente, a questo punto.
La mia mente era assediata da tutti quei pensieri, quando, ad un certo punto, percepii qualcosa di pesante e duro colpirmi alle spalle.

Voltai il capo e notai un ragazzo che mi stava raggiungendo.
Lo scrutai. Era un po' più alto di me, di corporatura esile, aveva i capelli castani, corti e lisci, gli occhi verdi, che potevo paragonarli ad un color smeraldo per quanto sbrilucicarono appena mi videro. Ed io rimasi affascinata da quell'incantevole bellezza.

-Scusami tanto! Sono dispiaciuto, ho tirato la palla troppo forte e ti ho colpito. Ti ho fatto male?- mi chiese il ragazzo con un tono un po' dispiaciuto.

-Sì, mi hai fatto male! Ci mancava solo questa, adesso.- risposi irritata.

-Perdonami. Non era mia cattiva intenzione colpire una ragazza così carina come te.- sbottò lui, facendomi capire che ci stesse provando.

-Qualsiasi cosa tu voglia fare, sappi che non ci stai riuscendo.-

-Invece direi proprio di sì. Sei diventata rossa come un peperone, questo significa che ti faccio un bel effetto.- disse con un tono irrimediabilmente sexy.

-Hai recuperato il pallone? Adesso, lasciami in pace, per favore.-

-Non me ne vado di qua se prima non mi dici il tuo nome.- mostrò un sorrisino assimetrico. -Comunque piacere, io sono Bryan.- allungò la mano per presentarsi.

-Piacere, Ilary.- lo feci anch'io, con tono menefreghista.

-Ilary, che bel nome! Mi piace.- commentò sorridente.

-Buon per te.- mostrai un sorriso falso, e mi girai ritornando a fissare il mio paradiso. Ed ecco che si avvicinò di nuovo a me, ritrovandomi nuovamente faccia a faccia con lui, con i suoi occhi.

-Che ci fa una ragazza così tanto simpatica e carina come te sola?- continuò lui, cercando di capire.

Simpatica? Carina? Forse era cieco, anzi, lo era, decisamente.

-Dovevano venire i miei amici, ma si è fatto tardi, quindi non penso che verranno più.- inventai una scusa, in modo che si potesse togliere dai piedi.

-Se vuoi rimango io con te.- gli si illuminò il viso. Sembrava interessato a stare con me, ma io non con lui. Con i ragazzi non volevo avere nulla a che fare, mi sentivo brutta e non volevo che gli altri ragazzi notassero questo mio disagio.

-No, grazie.- non accettai evitando di parlare ancora.

-Posso sapere il motivo?- replicò insistentemente.

-Perché devo andare a casa, e poi non devo darti nessun tipo di spiegazione.- mi alzai e piegai l'asciugamani dove ero seduta un'attimo fa. Presi una borsa dove c'erano contenute bibite (acqua e thè alla pesca), e un po' di cibo, nel caso mi fosse venuta fame, in quelle poche ore.

-Okay, ma prima di andarmene ecco il mio numero.- mi rivolse un piccolo bigliettino.

-Non lo voglio! O ti sembra che io sono la semplice ragazzuola di turno?!- ero furiosa.

-Scusami, non pensavo che te la prendessi in questo modo. Non è come pensi. Mi stai solo simpatica e volevo risentirti, tutto qui.- mi sorrise con tutti i suoi trentadue denti.
Era odioso, ma anche semplicemente bellissimo. Scacciai subito quel pensiero e ritornai alla realtà.

-Va bene.- lo aggrappai e me lo infilai dentro la tasca, con disinvoltura.

-Sappi che se volessi di nuovo vedermi, mi trovi ogni giorno qua, vicino a quel bar.- mi indicò lui, alzandosi di scatto.

-Ciao.- lo salutai, acida.

-A presto.-

Corse verso i suoi amici che lo stavano aspettando già da un bel pezzo. Il bar si trovava nella spiaggia stessa, dove erano presenti tavolini e sedie tutte attorno, dei biliardini dove le persone andavano a giocare, molto spesso. Insomma, era un bel posto dove stare. Il capo si chiamava Armando ed era una persona gentilissima e sempre disposto a tutto per gli altri.

Mi misi le ciabatte e presi la mia bicicletta per la destinazione-casa. Giunsi al cancello di essa, dove la poggiai a terra sul mio giardino.
Entrai a casa e sentii un bellissimo odore. Allora, mi diressi verso la cucina e vidi mia madre.

Mia madre si chiamava Loredana, una bella donna per intenderci, con i capelli biondi legati sempre da una coda alta, gli occhi azzurri come il ghiaccio, e di corporatura esile, ma meno magra rispetto me.

-Ciao mamma, eccomi! Sono arrivata, che buon profumino!- ero asfissiata da quell' odore.

-Ciao, Ilary. Ho preparato una bella fetta di carne arrosto, come piace a te.- disse soddisfatta, ritornando a cucinare.

Giunsi verso il salone, dove c'era il mio piccolo fratellino, Andrea, che giocava alla PlayStation.

-Ciao, mostriciattolo- lo salutai, notando quanto era attenzionato a quel gioco.

-Ciao, scema.- ricambiò lui, continuando a giocare.

Mio fratello era più piccolino rispetto me, aveva quattordici anni. Litigavamo sempre, ma diciamo che sotto tutti questi litigi ci volevamo un bene immenso, anche se la maggior parte delle volte cercava sempre di mettermi in imbarazzo e odiavo quando si comportava così.

Attraversai il corridoio, girai a sinistra ed entrai in camera mia, buttai lo zaino a terra e mi sdraiai sul letto. Misi la mano nella tasca e notai il bigliettino che mi aveva lasciato lui, con il suo numero scritto. Lo guardai distrattamente e lo lasciai sul comodino.

Dopodiché presi i vestiti puliti, la biancheria intima e mi diressi verso il bagno, a fare una doccia. Finita essa, mi vestii e uscii dal bagno.

-Ilary!!- urlò acutamente. Stiamo aspettando tutti te, è pronta la cena.-

-Arrivo mamma.- mi affrettai per la cucina.

La Magia Dei Tuoi OcchiWhere stories live. Discover now