Capitolo 1

10 2 0
                                    


Jasmine

Sono i raggi del sole mattutino a svegliarmi. Mi giro e rigiro nel letto, ma qualcosa che odio profondamente non ne vuole sapere di lasciarmi stare. Il Caldo, la causa della maggior parte dei miei cali di pressione. Questa è l'unica motivazione che riesco ad associare al mio risveglio di stamattina, che mi spinge ad alzarmi dal letto, così apro la finestra, per far si che entri un po' d'aria fresca. Sono ancora le sei, quindi ho tutto il tempo di prepararmi senza che i miei fratelli vengano a mettermi fretta. Mi spoglio silenziosamente, ancora morta di sonno e resto sotto il getto fresco della doccia per svariati minuti. Esco velocemente dal box avvolgendo il mio corpo con un accappatoio. Inizio ad asciugarmi, prestando particolare attenzione ai miei lunghi capelli castani. Saltello un paio di volte prima che i jeans mi entrino, e completo il mio outfit con una canottiera rossa abbinata alle scarpe. Una sensazione di vuoto mi pervade lo stomaco, mi succede in ogni circostanza. Oggi dovrò affrontare il mio ultimo primo giorno di liceo. Il vuoto era causato dalla paura del futuro, da ciò che sarà di me dopo aver concluso l'ultimo anno.
Dei rumori provenienti dal corridoio, però, interrompono il mio momento preferito, quello dell'applicazione del mascara, l'unico modo per sistemare il mio aspetto.
Ore 7:28.
Addio pace.
<<Jas, fai veloce, altrimenti arriveremo tardi.>> sbraita mio fratello Jacob, battendo i pugni contro la porta. In corridoio, la mia attenzione viene presto catturata da una puzza di bruciato derivante dalla cucina, dove trovo Noah, nostro fratello maggiore, non che la persona più odiosa e urtante che esista sulla faccia della terra, strillare contro Blake.

Date le sue scarse doti in cucina, Blake è fermo ai piedi dei fornelli che divertito osserva i pancake, ormai del tutto carbonizzati.
<<Pensavo che almeno il primo giorno di scuola avrei potuto fare colazione in modo decente>> lo rimprovero.
<<Secondo me invece sono mangiabili!>> ribatte Jacob, spalmando su due di essi della crema alle nocciole.
<<Non pensavo arrivassi al punto di mangiare del cibo bruciato J, ma dal momento che non abbiamo nemmeno una lira per pagare l'affitto, lo posso capire>> afferma Noah, strappandogli dalle mani gli ultimi rimasugli di cibo per poi buttarli nell'immondizia. Mi toccherà mangiare la solita brioche confezionata. Ormai sono anni che metto i soldi da parte per prepararmi al giorno in cui finalmente me ne andrò via da qui insieme ai miei fratelli. Quest'estate facevo lavoretti di ogni tipo, sia per tenere impegnata la mente, sia per dare un aiuto in casa. Di recente, però, siamo sempre a corto di liquidi, perciò è difficile che i miei risparmi restino tali. Viviamo in uno dei palazzi più sgangherati all'interno dei Five Point d'altronde. Le scale del palazzo sono perennemente sporche e ingombre di rifiuti, come pacchetti di sigarette e siringhe, ma la cosa peggiore è che al nostro padrone di casa non frega niente.
<<Introducendo l'argomento spicci, stasera ci aspetta FBI, al Copacabana. Vuole tutti i soldi della roba venduta da Jacob in quest'ultimo mese.>> sbuffa Noah, afferrando la brioche che tenevo tra le mani.

Questo signore di cui parlano, Franklin Bruno Ikin, è soprannominato FBI date le sue iniziali, ma soprattutto per la sua capacità di spionaggio. Oltre ad essere l'uomo più viscido e depravato esistente, è il mostro che mi violentò quando avevo solo 8 anni. Ho impresso nella mente quel giorno come fosse ieri. Ricordo io che mi dimenavo a più non posso mentre lui mi colpiva, provocandomi una quantità innumerevole di lividi su tutto il corpo. L'unico a conoscenza di ciò era Nicholas, anche lui preso in ostaggio con me. L'unica tortura alla quale venne sottoposto, fu quella di essere legato ed obbligato a guardare quella scena. I traumi sono tanti, ma in quel momento il mio unico pensiero era solo lui, che da quel momento in poi mi stette accanto, fino a quel famoso giorno. Ogni tanto mi ritrovo a credere che quel <<noi>>, in realtà non sia mai esistito. Altrettanto spesso, viaggio nell'illusione di ciò che saremmo potuti essere, se solo le nostre vite fossero state diverse. Se solo tutto fosse stato più facile. Non penso lo racconterò mai ai miei fratelli, né tantomeno saranno felici di sapere che nostro padre era lì presente, che si godeva la scena, in fondo allo stanzino buio e ammuffito. Quando mio padre morì si trovava a Brooklyn, per lavoro, o almeno così diceva. Da quello che so era andato a trovare il suo migliore amico, Enzo Astor, padre di Nicholas Astor. Avevo solo 15 anni quando dopo qualche settimana dal suo alloggio a Brooklyn, la nostra preoccupazione alle sue chiamate non accettate aumentava così tanto da arrivare a chiamare la polizia. In questa chiamata ci veniva comunicato che i due i due migliori amici avevano perso la vita. La causa della loro morte era proprio il ragazzino tanto discusso da mio padre,  Nicholas. Ero scioccata al tempo, ma grazie a lui il mio inferno era finalmente finito e senza di lui la mia vita qui con papà, stava diventando straziante.  I miei fratelli però finirono per odiarlo. La curiosità mi mangia viva, perché l'ha fatto, che cosa l'ha spinto ad arrivare a ciò? La cosa che mi fa venire un vuoto allo stomaco è il fatto di non potergli fare queste domande, o il semplice motivo di non poter parlare direttamente con lui, dal momento in cui si trova in carcere da ben 5 anni. L'unico motivo per parlare con lui è tramite sua sorella Vivienne, ma dice di non sentirsi ancora pronto ad affrontare questo discorso.
<<Ragazzi voi stasera non andate da nessuna parte.>> Ribatto furiosa.
<<Sta tranquilla Jas, non succederà nulla, smettila di fare la bambina.>> Jacob non vuole sentirsi dire quello che deve fare, riesce sempre a farmi alterare.
<<Tu non capisci...>> Il sangue mi ribolle nelle vene, il caldo si fa sentire più forte che mai, fin quando il mio corpo privo di forze si ritrova sul suolo fresco della cucina.

Autrice🧁
Eii ragazze, come va?🩷

Beyond the limitsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora