Le mie certezze nei tuoi occhi

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14 ottobre, 2008


Riley si strinse nelle spalle. L'aria fresca del primo pomeriggio stava cedendo il passo al freddo della sera e alle sue sporadiche folate di vento, mentre il sole tramontava in lontananza. Riusciva ancora a vederlo specchiarsi sulla superficie del lago, simile a una grande arancia luminosa che scaldava il piccolo angolo di mondo in cui si era rifugiata. L'acqua, il cielo, gli alberi, persino lei: tutto era accarezzato dai suoi colori.

La macchina fotografica era accanto a lei, poggiata su una roccia bianca identica a quella su cui sedeva, a pochi passi dalla riva. Era un bel tramonto, uno di quelli che vale la pena immortalare, e di sicuro ne sarebbe venuto fuori uno scatto niente male, ma Riley non voleva catturarlo. Non tutti i momenti desiderano essere fermati. Alcuni chiedono soltanto di essere ammirati, vissuti, portati nel cuore in segreto, insieme alle emozioni e ai ricordi che hanno sfiorato. E Riley aveva tanti ricordi - ricordi felici - in cui sentiva il bisogno di tuffarsi in quel momento.

Stava ancora pensando alle parole di Wilkinson e Greene. Anzi, alle bugie. Autumn non poteva aver raccontato alla polizia di essere spaventata a causa sua. Non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Non a lei. Non a loro.

Però, era quella la versione ufficiale che gli abitanti di Redwood avevano adottato da vent'anni e non poteva più ignorare quel dettaglio. Lei era Riley Gilbert, dopotutto. La sporca lesbica che aveva perseguitato la figlia del pastore e che aveva portato alla morte Brian Murphy. Era una deviata e un'assassina e se Autumn era scomparsa la colpa era sua. Se soltanto l'avesse lasciata in pace, se soltanto non l'avesse costretta a fuggire, adesso sarebbe...

«No», mormorò al silenzio. «Siete stati voi. Ci avete divise. Che cosa abbiamo fatto di male?»

Era una delle tante domande a cui non aveva ancora trovato risposta.

Affondò una mano nel terreno umido e lasciò ricadere le piccole zolle scure come fossero granelli di sabbia di una clessidra. Non ci stava. Si rifiutava di accettare che tutto quello che avevano vissuto venisse stravolto e riscritto dall'odio altrui.

Un rumore di passi catturò la sua attenzione, risvegliandola dal torpore. Riley si voltò e vide un uomo sbucare dagli alberi e camminare verso di lei. Le ci volle qualche istante per riconoscerlo, ancora presa in parte dai propri pensieri. Era il poliziotto che aveva visto uscire da casa Bates quella mattina, con indosso ancora lo stesso cappotto lungo in cui affondava le mani e il completo economico.

«Buonasera», la salutò estraendo una mano e sollevandola appena. Riley ricambiò con un cenno del capo, senza alzarsi. A meno che non si fosse perso tra i boschi, cosa di cui dubitava fortemente, era chiaro che il poliziotto fosse lì per lei.

«Lei è difficile da rintracciare, signorina Gilbert». Non era sudato, ma c'era un po' di fatica nella sua voce, come se stesse camminando da diversi minuti.

«Non abbastanza, se mi ha trovata», rispose Riley.

«Mi hanno detto che avrei potuta trovarla da queste parti a scattare fotografie». Il poliziotto si fermò a un paio di metri da lei. Sollevò lo sguardo sul lago e le sue labbra si schiusero in una piccola "o" carica di meraviglia. «Capisco perché. È bellissimo.»

«Non è il luogo, sono i ricordi.»

«Non capisco.»

«Non si preoccupi, parlavo tra me e me. Ha detto che mi stava cercando?»

Gli occhi del poliziotto la stavano studiando, come se si stesse chiedendo chi fosse davvero la persona che aveva davanti.

«Sono qui perché vorrei farle qualche domanda su Autumn Bates, signorina Gilbert. Posso?»

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 17 ⏰

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