Mi sveglio con il buio ancora avvolgente e il silenzio che riempie la stanza. Non c'è neanche il rumore lontano delle macchine, segno che è prestissimo, forse le sei del mattino. Le lenzuola sono tiepide intorno a me, e per un attimo penso di essere sola, fino a che non sento il fruscio della cartina.
Apro gli occhi piano e vedo Lorenzo seduto accanto al letto. Sta rollando una mista, e le mani si muovono veloci ma precise. Lo guardo in silenzio per un attimo, indecisa se parlare o restare lì, ferma, fingendo di non sapere.
"È successo, vero?" chiedo infine, con un tono che tradisce più rassegnazione che curiosità.
Lui si ferma, gira leggermente la testa verso di me e mi guarda per qualche secondo. "Sì," dice annuendo piano, senza aggiungere altro.
Sospiro, affondo il viso nel cuscino, cercando un conforto che non trovo. "Vabbè," mormoro, stringendo il lenzuolo contro di me.
"Tranquilla, è così," risponde lui, quasi come se stesse parlando a se stesso. La sua voce è calma, senza emozione.
Mi rannicchio di più, fissando il vuoto davanti a me. Fuori la notte non ha ancora lasciato spazio al giorno, e dentro di me sento lo stesso vuoto.
"Vabbè, eravamo fatti," dico, cercando di suonare indifferente, ma sento la mia voce incrinarsi leggermente. È un modo per scusare quello che è successo, anche se sappiamo entrambi che non basterà mai.
"Mhmh," mormora lui, con quel suono che non dice niente ma racchiude tutto. Non mi guarda. Sta fisso sulla canna, come se fosse l'unica cosa importante in quel momento.
"Mh," ribatto, facendo un gesto appena accennato con la mano, tanto per non lasciare cadere la conversazione nel nulla.
Si sporge un po' indietro, facendosi spazio nella penombra della stanza. "Mi spiace che finiamo sempre così," dice infine, la voce bassa, quasi un sussurro, ma tagliente.
Mi tiro su leggermente, appoggiandomi alla testiera del letto. Lo fisso, studiando ogni sua parola. "È così da due anni, fai tu," ribatto con calma, ma dentro sento il solito peso. Lui lo sa quanto è stancante tutto questo, ma non cambia mai.
Abbassa lo sguardo, giocherellando con la brace. La fissa come se ci fosse una risposta che non riesce a trovare. "Sì, ma non te le meriti. Non ti meriti uno come me," dice. La sua voce è spezzata, ma c'è un filo di rassegnazione che mi fa venire un nodo alla gola.
Sospiro e scuoto appena la testa, i capelli che mi cadono sul viso. "Senti, vabbè, se sono qua un motivo c'è," rispondo, le parole dure come una barriera che ho alzato ormai troppo tempo fa. Non lo dico per consolarlo, né per dargli una scusa. Lo dico per me stessa, per ricordarmi che, nonostante tutto, c'è una parte di me che non riesce a staccarsi.
Lui si limita ad annuire, portandosi la canna alle labbra. Il fumo si dissolve nell'aria, e con esso ogni possibilità di andare più a fondo in quella conversazione.
Ci alziamo dopo un po', con quell'atmosfera a metà tra il torpore e una sorta di abitudine silenziosa. Raccatto il mio intimo nero dal pavimento e, senza pensarci troppo, afferro una felpa a caso per coprirmi. È una delle sue. Lorenzo si infila in cucina, ancora in pantaloncini, e si muove con lentezza mentre prepara il caffè. Lo osservo mentre mi siedo al tavolo, il legno freddo sotto le mani.
"Vieri mi scrive" dico all'improvviso, rompendo il silenzio. La mia voce è piatta, ma so che basta poco per attirare la sua attenzione.
Lorenzo si ferma un secondo, poi riprende a mescolare lo zucchero nel suo caffè. "Gli rispondi?" chiede senza girarsi, ma il tono tradisce un po' di interesse.
"Poco," rispondo, scrollando le spalle come se fosse una cosa di poco conto.
Si volta con le tazzine in mano e me ne passa una. "Mh," fa lui, guardandomi mentre prendo un sorso. Non aggiunge altro, ma il silenzio dice più di qualsiasi battuta o commento. Sa che Vieri è un argomento che non lo lascia indifferente, e sa anche che io lo so.
Il silenzio si allunga per qualche istante, poi lui si appoggia al piano della cucina. "Che vuole?" chiede, cercando di suonare disinteressato, ma lo sguardo tradisce una leggera tensione.
"Ha detto che dovremmo uscire una sera," rispondo, giocando con la tazza tra le mani. Non so perché glielo sto dicendo, ma forse voglio solo vedere come reagisce.
Lui sbuffa piano, abbassando gli occhi. "E tu ci vai?" domanda infine, cercando di mantenere la voce neutra.
"Non lo so,dopo ieri sera non credo,"" rispondo, fissando la superficie del caffè. E in quel momento, so che non stiamo più parlando di Vieri, ma di noi due, come al solito.
"Giuro, Luna se ti fai scopare da quel coglione..." comincia Lorenzo, con il tono che si fa più teso.
Sbuffo, infastidita. "Ma la smetti?" ribatto.
"Dai, sono serio, mi starebbe sul cazzo," insiste lui.
"Perché?" chiedo, cercando di capire il motivo del suo fastidio.
"Perché è un bastardo," dice con una semplicità che quasi mi fa ridere per quanto è ovvio.
"Dai, Papa, basta," rispondo io, cercando di tagliare corto.
Lui si ferma, alza un sopracciglio e aggiunge: "Aggiungici il 'V'."
"Dai, Papa V," ripeto io con un mezzo sorriso, come a volerlo assecondare.
Lorenzo gira gli occhi, poi mi toglie la tazzina del caffè con un gesto deciso, come se volesse chiudere il discorso.
"Io me ne torno a dormire," dice, alzandosi dal tavolo con l'aria stanca.
"E cosa faccio io?" chiedo, quasi d'istinto, senza nemmeno pensarci troppo.
"Vuoi venire?" mi chiede, con quel tono morbido, quasi pigro, che mi irrita e mi calma allo stesso tempo.
"Va bene," rispondo, cercando di sembrare indifferente, ma qualcosa mi pesa dentro. Lo seguo in camera, attraversando quel corridoio che ormai conosco a memoria. Anche qui è tutto buio, una penombra pesante che sembra riflettere come mi sento.
Mi siedo sul bordo del letto, il lenzuolo ancora aggrovigliato dai movimenti di prima. Mi stringo nelle spalle, un po' indecisa. Vorrei abbracciarlo, poggiarmi a lui, sentirlo vicino come quando stavamo bene, ma c'è sempre qualcosa che mi blocca. Forse è orgoglio, o forse paura.
"Dai," dice all'improvviso, il suo tono è una via di mezzo tra dolcezza e impazienza. Mi fa segno con la mano, ma io lo guardo, ancora ferma.
"Dai, Luna, minchia," aggiunge, stavolta con più decisione, girando gli occhi come fa sempre quando pensa che stia esagerando.
Sospiro, più per rompere la tensione che per reale convinzione, e mi lascio andare. Mi avvicino a lui e mi sdraio sul letto, poggiando la testa contro il suo petto. Sento il suo respiro sotto la guancia, lento, profondo, e mi chiedo se il mio è altrettanto irregolare.
Lui non dice niente per un po', ma dopo un attimo sento una mano appoggiarsi sul mio fianco, mentre l'altra si perde nei miei capelli. Giocherella con una ciocca come ha sempre fatto, e quel piccolo gesto mi fa sentire al sicuro. È una sensazione contraddittoria: mi manca, ma allo stesso tempo so che restare qui non risolve niente.
"Mi piace stare così," dice Lorenzo, la sua voce è un misto tra calma e incertezza, quasi come se fosse una confessione che fatica a uscire.
"Mhmh," rispondo io, senza molto entusiasmo, ma abbastanza per fargli capire che l'ho sentito.
"Ti voglio bene," aggiunge poi, con un tono incerto. Quasi una domanda. Una frase che non mi aspettavo, perché Lorenzo non è uno che parla di sentimenti. Non me l'ha mai detto, nemmeno un "ti amo" quando stavamo ufficialmente insieme.
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Insieme Da Una Vita-PAPA V
Short StoryLuna e Lorenzo si sono appena lasciati dopo una relazione tossica. Lui è incapace di esprimere i suoi sentimenti, mentre Luna tende a dare troppo, ricadendo sempre in situazioni sbagliate con altri ragazzi. Nonostante la separazione, la loro conness...