Capitolo 6.2-Matthew

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Due mesi prima...

È una di quelle serate in cui Allison non riesce proprio a uscire di casa. Solo il pensiero la stressa al punto da non riuscire a ingoiare nemmeno un boccone di cena. Il suo volto è pallido, gli occhi gonfi e arrossati dalle lacrime. La seconda crisi di panico della serata l'ha lasciata esausta, rannicchiata sul divano. La terza camomilla giace sul tavolino ancora fumante, ma lei sembra troppo sfinita per prenderla. Osserva con tristezza il vestito che avrebbe dovuto indossare, come fosse un sogno ormai infranto.

Non posso vederla così. Con un nodo alla gola, prendo il telefono e chiamo Veronica.

"Ciao, V. Tu e le ragazze avete piani per stasera?" cerco di mantenere la calma.

"Perché, Matt? Vuoi invitarci a uscire tutte insieme?" risponde con tono leggermente divertito.

Sbuffo. "So che stavate organizzando un'uscita."

"Già, avevamo deciso di andare a ballare. Hai notizie di Alli? Non risponde ai messaggi da ore."

Guardo mia sorella. Il suo viso rigato di lacrime e il suo corpo rannicchiato mi spezzano il cuore. Il suo solito sorriso è sparito, sostituito da un'espressione di pura desolazione.

"Sta passando una brutta serata," dico con un sospiro pesante. "Ha avuto un'altra crisi di panico."

Dall'altro capo, silenzio. Posso quasi percepire la preoccupazione di Veronica. "Oh no, povera Alli," mormora infine. "Cosa possiamo fare?"

La sua empatia è palpabile, un balsamo leggero sulla mia frustrazione. "Pensavo che una visita delle sue amiche potrebbe sollevarla. Non deve uscire, solo vedere dei volti familiari e sorridenti."

"Ok, faccio un giro di chiamate. Arriviamo presto."

"Grazie, Veronica."

"Figurati, Matthew."

Mentre aspetto, mi siedo accanto a lei. Le luci soffuse della stanza creano un'atmosfera surreale. Le prendo la mano, cercando di trasmetterle un po' di forza. Le sue dita sono fredde e tremano leggermente.

"Andrà tutto bene, Alli. Le ragazze stanno venendo. Non devi uscire, ma un po' di compagnia ti farà bene."

Lei mi guarda con occhi stanchi, grati, stringendo la mia mano con poca forza. "Grazie, Matt. Sono così stanca di stare male," sussurra. La sua voce è appena un filo, il respiro tremante.

Il suono del campanello spezza il silenzio. Veronica e le altre ragazze entrano con sorrisi e voci allegre, portando una ventata d'energia nuova. Il profumo dei loro profumi riempie la stanza, contrastando l'aria stagnante. Mi alzo, lasciando che l'affetto delle sue amiche la avvolga.

Le guardo interagire, e per un attimo mi sento sollevato. Ma sotto la superficie resta la rabbia, l'impotenza. Vedere le sue amiche che le accarezzano i capelli e la fanno sorridere mi dà un sollievo temporaneo. Le ragazze si chiudono nella stanza di Alli, mentre io mi rilasso sul divano, ascoltando le loro risate soffuse mescolarsi ai rumori della strada.

Dopo un'oretta, decido di controllare come va. Salgo al secondo piano, il pavimento scricchiola sotto i miei passi. Mi avvicino alla porta socchiusa e le sento parlare.

"Veronica, chi baceresti tra il fratello di Alli e quello di Julie?" chiede Abi Gail con tono malizioso.

"Jackson," risponde Veronica senza esitazione.

"Ma non ci hai neanche pensato!" protesta mia sorella, con una sfumatura di amarezza.

"Almeno spiegaci il perché!" insiste Abi, mentre Julie ridacchia.

"Sono entrambi carini, ma Jackson ha quel fascino misterioso. Poche parole, ma intense," ridacchia Veronica.

"Matthew è il classico bravo ragazzo su cui puoi sempre contare. Ti dà stabilità, ma dov'è il pepe? Il fuoco? L'incertezza?" Prende una pausa. "Matt è come una tazza di latte caldo con il miele, mentre Jackson... è cioccolato al peperoncino. Forte e piccante."

Le sue parole mi colpiscono come un pugno. Mi appoggio contro la parete, il legno freddo sotto la mano. Un'ondata di rabbia e delusione mi investe. Il cuore mi batte forte, ogni pulsazione un colpo al petto. Veronica mi vede come un bravo ragazzo, certo, ma senza fuoco, senza brivido.

Mi sento invisibile, un porto sicuro che lei non vede davvero. Ho sempre cercato di essere la roccia per Alli, ma ora mi accorgo che la mia stabilità mi ha reso invisibile agli occhi di chi desidero di più.

Le risate soffocate nella stanza sembrano lontane, un eco distorto. Ogni parola di Veronica risuona nelle mie orecchie come una tortura. Mi domando se non sia sempre stato così.

Vorrei avere quel "pepe", quel "fuoco" che lei cerca. Ma mi sento solo come una tazza di latte caldo con il miele: rassicurante, ma senza quella scintilla.



Arrivato davanti alla caserma, mi prendo un momento per rendermi conto della situazione. La struttura, imponente e austera, si erge davanti a me come un gigante di cemento e acciaio. Le pareti esterne, di un grigio opaco e uniforme, sembrano quasi scolpite nella roccia, mentre le finestre a grata lasciano filtrare una luce che si fa fredda e distante. Il tetto, inclinato e rivestito di tegole scure, contribuisce a dare un aspetto severo all'edificio.

Le file di ragazzi e ragazze in divisa che vedo davanti a me sembrano piccole macchie di colore vivo rispetto al grigio dominante della caserma. Ogni individuo è dotato di un borsone di tela robusta e di un berretto con il logo della caserma, che, sebbene standardizzati, sembrano raccontare storie personali e sogni futuri. Il pavimento di cemento sotto di noi è levigato e lucido, ogni passo emette un rumore sordo che si propaga attraverso il corridoio, creando un ritmo costante e quasi ipnotico.

Il mio borsone pesa sulla spalla, un dolore sordo che mi ricorda ogni passo fatto fino a lì. La cinghia mi ha scavato nella carne, lasciando un'impronta rossa e dolorante. Con un sospiro di sollievo, lo poggio a terra, il suono sordo che fa contatto con il suolo mi offre un attimo di tregua. Il borsone, ormai un'estensione del mio corpo, sembra quasi ribellarsi alla separazione.

"Il borsone non si strascina, si porta in spalla, o ti daranno due giorni di consegna appena arrivato," mi dice una voce maschile alle mie spalle, un tono che mescola gentilezza e autorità, come un fratello maggiore che offre un consiglio indispensabile.

Mi volto e vedo un ragazzo alto e imponente, con i capelli corti e un portamento che trasuda sicurezza. I suoi occhi verde smeraldo mi fissano con una combinazione di curiosità e calore, brillano sotto la luce del sole del mattino, quasi fossero gemme incastonate nel suo viso abbronzato. Il suo sorriso, amichevole e rassicurante, contrasta con la rigidità della sua uniforme perfettamente in ordine, una testimonianza della disciplina che ormai fa parte del suo essere.

"Piacere, io sono Alexander. Sei nuovo?"

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⏰ Ultimo aggiornamento: 3 days ago ⏰

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