Capitolo 21

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Dicono che sia stata tutta colpa della neve. Qui in New Jersey, come giá saprete, nevica sempre un sacco, ma quell'anno aveva nevicato proprio tanto, ancora più del solito. Gli alberi erano completamente innevati e alcuni erano crollati a causa del peso della neve, le strade erano ghiacciate e gli spalaneve avevano sempre tanto lavoro da fare. Aveva nevicato così tanto che persino le scuole avevano chiuso, decidendo di anticipare le vacanze di Natale di una settimana, non era una brutta cosa dopotutto, l'unico problema era che saremmo dovuti andarci una settimana in più a giugno e il che non era affatto bello.
Ma non mi lamentavo.

Passavo le giornate in casa, sepolto sotto venti strati di coperta, a guardare stupide repliche di vecchi telefilm e a tenermi aggiornato sul sito della band. Mikey era felice come una pasqua, se ne fregava di andare una settimana in più a scuola quest estate, gli importava solo passare il giorno in giardino a rotolarsi nella neve come un cane.

Quella mattina aveva nevicato ancora di più del tanto di più che aveva nevicato in quei giorni, non so se mi spiego. Insomma, quella mattina eravamo riuniti intorno al tavolo della colaznione ad ascoltare la radio, dicevano di aver chiuso anche l'universitá nella quale lavorava mio padre, che era l'unica scuola rimasta aperta nel raggio di chilometri.
"Finalmente" esultò papá avvicinandosi ai fornelli.
"Preparo io la colazione stamani vi va?"
Sarebbe stato veramente carino da parte sua preparare la colazione, dico davvero, ma avrebbe finito con l'incendiare la casa e con l'ucciderci tutti.
"Non voglio morire per colpa tua" disse Michael picchiettando il piatto con un coltello, non riusciva proprio mai a stare fermo quel bambino.
Papá sbuffò e si mise a sedere accanto a me, che stavo sfogliando il giornale con poco interesse, mentre la mamma si mise ai fornelli per preparare i miei amati pancake.
"Ehi guarda c'è una foto del tuo ragazzo!"
Il dito di mio padre si piantò con forza al centro del giornale, dove troneggiava la foto di una rock band canadese e, più in basso, una foto di Frank attaccato al microfono con la chitarra a tracolla.

Il tour, iniziato a settembre, stava andando veramente bene e i fan della band aumentavano giorno dopo giorno dopo giorno dopi, beh, avete capito no? Insomma, il giorno seguente sarebbero andati a Portland per un concerto e io li avrei raggiunti lì per passare qualche giorno con loro prima che partissero di nuovo. Non vedevo l'ora di rivedere Frank, mi era mancato così tanto.
Ma sto divagando.

"Allora ragazzi che volete fare oggi?"
Papá avrebbe approfittato di questo giorno senza lavoro per uscire un po' con noi e io ne ero felice, stare con mio padre era molto divertente sapete? È una brava persona mio padre, proprio un brav uomo.
"Ehi non è giusto che voi potete fare quello che vi pare e io no" si lamentò mia madre, il supermercato in cui lavorava non era chiuso perchè solitamente i supermercati non vengono chiusi quando nevica qua.
"Allora sapete che vi dico" si avvicinò al telefono e compose un numero "mi prendo un giorno di vacanza pure io" annunciò.
"Oh oh oh che ribelle!"
"Ecco fatto" disse sbattendo il telefono contro il muro per riattaccarlo "dove vogliamo andare?"
"Potremmo andare da James e Lauren" propose mio padre, da quando il piccolo Teo era nato non facevano altro che andare da loro nei fine settimana.
Mamma si strinse nelle spalle e annuì: "Magari poi potremmo passare a pranzo dalla nonna, le farebbe piacere vederci."
"Tu vieni?"
"Non posso" dissi.
Papá sospirò, sospirava un sacco quell'uomo: "La tua lettera non arriverá più velocemente solo perchè tu stai qua ad aspettarla Gerard."
La lettera a cui si riferiva mio padre era quella di ammissione alla Jiulliard.

Circa due settimane fa avevo fatto l'audizione, quella per la quale avevo studiato tutto l'anno precedente. Helena mi aveva accompagnato in macchina al teatro in cui si teneva, lo stesso del mio primo appuntamento con Frank. La sala in cui mi sono esibito però era diversa, il soffitto era rovinato e le facce degli angeli cadevano a pezzi, era un po' inquietante ecco. Le poltrone rosse erano tutte vuote, salvo quattro della prima fila, sulle quali sedevano quattro professori chiamati a giudicare il talento dei vari ragazzi. Molti si erano esibiti prima di me, alcuni veramente bravi e altri che avevano fatto cadere il loro strumento una decina di volte; l'attenzione dei professori verso quei potenziali studenti diminuiva visibilmente e io avevo paura che, quando sarebbe stato il mio turno, non mi avrebbero neanche guardato.
Finita l'esibizione di un ragazzo che aveva recitato l'Amleto, entrai sul palco e mi avvicinai al pianoforte posizionato al centro di esso. Lo sgabello di pelle mi sembrava così scomodo e diverso dal mio ed ero sicuro che nessuno mi stesse prestando attenzione. Ma io dovevo suonare e loro dovevano ascoltarmi, volenti o nolenti, anche perchè avevo studiato per un cazzo di anno quel cazzo di brano per farlo alla perfezione, cazzo! Insomma, iniziai a suonare la quinta sinfonia del vecchio Beethoven, e in poco tempo le mie dita diventarono i prolungamenti dei tasti del pianoforte e la musica entrò dentro di me senza che io riuscissi a fermarla, mentre suonavo non pensavo a nient altro che non fosse musica e note. Quando mi fermai ci fu un attimo di silenzio in cui non sapevo se alzarmi e andare via, o rimanere lì e aspettare di essere malamente congedato; un applauso ruppe il silenzio, proveniva da un vecchio professore decrepito e subito la donna seduta accanto a lui lo imitò, seguita dagli altri. Io mi alzai e mi inchinai con rispetto davanti a loro, sorridendo, e infine uscì.
Helena mi disse che non mi aveva mai sentito suonare così ed era sicurissima che mi avrebbero ammesso.

Quindi era da due settimane che aspettavo la lettera dalla Jiulliard con trepidazione.
"Va bene" dissi "dopotutto non posso passare la mia vita in questa casa."
E quindi uscimmo di casa dirigendoci alla macchina in garage, papá sistemò le catene alle ruote del veicolo e ci invitò a entrare.
"Ah giusto" disse mio padre girandosi verso di me dal sedile anteriore "vuoi guidare?"
Mi avevano costretto a prendere la patente perchè mi sarei trasferito a New York, per la Jiulliard, ma non avevo ancora toccato volante nè niente e non avevo intenzione di farlo adesso.
Scossi la testa e lui si strinse nelle spalle.
Come al solito iniziò la disputa oer la radio, tutti volevano sintonizzarsi su un canale diverso ma nessuno riusciva a decidersi su quale. La mamma voleva sentire il notiziario, dato che aveva nevicato tanto eccetera eccetera, papá voleva i Beatles, Mikey la sigla di Spongebob, il suo cartone preferito e io la stazione della musica classica, ma dato che ero l'unico a cui interessava non mi avrebbero mai accontentato.
Mi sbagliavo.
"Allora, io propongo di sentire prima il notiziario per tenerci aggiornati su ciò che succede in giro" disse papá "poi metteremo la musica classica per il nostro Gerard. Non preoccuparti Mikey, non vogliamo torturarti, puoi metterti le cuffie."
Papá staccò il lettore CD dall'auto radio e iniziò a frugare dentro il vano portaoggetti.
"Che ne dici del vecchio Elvis?"
"No voglio Spongebob! È giá lì dentro!"
Sospirando mio padre gli diede il lettore CD e le cuffie, per poi accendere la radio.

Sapete, non avrei mai immaginato che la radio potesse continuare ad andare anche dopo il forte impatto. Eppure andava ancora, il suono era distorto, ma il pezzo che avevo suonato all'audizione e che adesso stavano traspettendo, si sentiva ancora.
Dopo lo scontro la nostra auto era slittata sul selciato ghiacciato, nonostante le catene e i corpi dei miei genitori erano stati sbalzati fuori dal parabrezza, finendo distesi sul freddo asfalto. L'auto continuò la sua corsa sbandando e ribaltandosi, per finire poi sul bordo della strada inerme e con io motore in fiamme. Tutto ciò che era rimasto dell'amata auto di papá era un'ammasso di lamiere fumanti con la radio ancora funzionante.

La quinta sinfonua di Beethoven era l'unica cosa che spezzava il forte silenzio che si era creato dopo l'impatto.
Solo in quel momento avevo capito cosa intendesse Frank quando diceva che il suono del silenzio è carico di tutto il dolore del mondo.
La quinta sinfonia di Beethoven fu l'ultima cosa che sentì e Frank il mio ultimo pensiero, prima che il buio mi avvolgesse, trascinandomi con se.

Il suono del silenzio (Frerard)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora