5. Run, little fox. Run.

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La campanella suona come un macabro rintocco, un richiamo che annuncia la fine della lezione, ma non della battaglia

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La campanella suona come un macabro rintocco, un richiamo che annuncia la fine della lezione, ma non della battaglia.

Rimango seduto, immobile, le mani intrecciate sul bordo del banco, mentre Mavis si alza in fretta, la chioma di quel colore acceso e fastidioso che ondeggia al ritmo dei suoi movimenti decisi, è evidente che stia cercando di sfuggire alla mia presenza.

Corri, piccola volpe. Corri.

Il movimento dei suoi passi, così calcolato e affrettato mi fa sogghignare.
Sa di essere la mia preda.

E sa che non potrà sfuggirmi né ora né mai.

Accanto a me, Lysander, il mio fedele cagnolino, colui di cui mi servo qui alla Kingly, mi lancia
un'occhiata incerta, quasi interrogativa.

Lo ignoro.

La sua utilità è limitata e, in momenti come questi, preferisco agire da solo. Ci trovo più gusto.

Mi alzo con calma, lisciandomi la giacca con un gesto lento e deliberato, le dita scivolano sul
tessuto pregiato, cancellando ogni piccola sgualcitura.

Non ho fretta.

Lascio che gli studenti cambino aula e che il corridoio si svuoti, i miei passi lenti e pesanti
rimbombano contro le pareti di pietra, come un funesto presagio di morte.

La cerco, ma so già dove trovarla.

So dove andrà a nascondersi, come una piccola volpe che cerca rifugio, ma non comprende che il cacciatore conosce ogni sentiero del bosco, anche il più nascosto.

La intercetto, è in fondo al corridoio, appoggiata al muro a sbeccarsi lo smalto dalle unghie con
nervosismo, e quando si volta di scatto, posso percepire l'eco del suo respiro trattenuto.

I suoi occhi si scontrano di colpo con i miei, e un'ondata di sfida ostinata lampeggia nel suo sguardo.

«Non riesci proprio a starmi lontano, vero?» dice, la voce bassa ma pungente.

Mi fermo a pochi passi da lei, inclinando leggermente la testa. Le mie mani scivolano nelle tasche, un gesto apparentemente rilassato, ma che nasconde un controllo calcolato.

«Non mi piace lasciare questioni in sospeso».

Lei incrocia le braccia al petto, la mascella tesa, quel colore di capelli che mi destabilizza, fino al
limite della follia.

«E quale sarebbe questa grande questione? Il fatto che ti abbia umiliato davanti a tutta la classe?»

Mossa sbagliata, patetica borsista.

Un sorrisetto appena accennato curva le mie labbra.

Estraggo una mano dalla tasca e mi passo distrattamente un dito lungo la mandibola, come se riflettessi sulla sua domanda.

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