Otto

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Ho lanciato un grido facendo cadere il cellulare sul pavimento. Mi sono chinata per riprenderlo e per chiamare la polizia, ma si era spento da solo. Maledetti aggeggi elettronici che non funzionano nel momento del bisogno. L'ho lanciato sul letto, sovrastata dalla paura e dalla rabbia.
Di nuovo un colpo alla finestra.
Ho chiuso gli occhi e mi sono portata le dita sulle tempie. Cosa potevo fare?
Poi ho sentito un fischio.
Mi sono avvicinata lentamente alla finestra con la mazza in pugno e una nuova convinzione in testa. Non mi sarei lasciata spaventare, non volevo sembrare una bambina. Avrei controllato dalla finestra e se avessi visto qualcuno sarei scesa di corsa da basso a prendere il telefono di casa per chiamare la polizia. Avevo un piano -rido- e forse ce l'avrei fatta. Peccato che ero una fifona completa anche se volevo convincermi del contrario.
Ho fatto un profondo respiro, poi ho scostato un po' la tenda. Fuori era tutto buio. Il lampione sulla stradina era l'unica fonte di luce. Non c'era nessuno sul terrazzino.
Ho chiuso gli occhi per un attimo, poi ho ricontrollato: nessuno. Non potevo essermi immaginata tutto, non ero cosí degenerata. Ho girato la maniglia. Non ero matta.
Sono uscita sul terazzino, soffiava una leggera aria fresca.
Ho stretto di piú la mazza.
Un altro fischio.
Ho corrugato la fronte...ma che razza di ladro...
-Amelia!- ha esclamato sottovoce qualcuno con un timbro basso e dolce.
No, non poteva essere.
Ho appoggiato la mazza al muro e mi sono affacciata al balcone.
Nella stradina di ghiaia oltre la siepe c'era Leo, ritto in tutta la sua gaia bellezza. Ho lanciato un'imprecazione e lui mi ha guardato come se mi fossero spuntate dieci teste.
Lui: -Non credo di aver sentito bene, ma suppongo che quello non fosse il nomignolo che mi hai dato-
Io: -Leo!-
Lui: -Pensavo fossi piú poetica Bip Bip-
Io: -Che ci fai qui?!-
Lui: -Se te lo dico mi prenderesti per pazzo-
Io: -Leo mi hai fatto prendere un colpo.-
Lui: -Non era mia intenzione-
Io: -Esistono i campanelli Leo! Sai...cose rotonde chiamati bottoni che se li schiacci emettono un suono e avvisano le persone che c'é qualcuno fuori di casa che le aspetta!-
Lui: -Eh dai basta ripetere il mio nome! E poi io sono piú tradizionalista, i sassolini mi sembravano piú romantici del campanello-
-Sassolini?- ho ripetuto, poi ho guardato il pavimento del terrazzino. Cerano due sassolini grigi e rotondi vicino all'entrata della camera. Mi sono affacciata di nuovo verso di lui e i suoi occhi erano fissi su di me. Ho ringraziato Dio che fosse buio. -Oh...- ho detto.
Avevamo parlato sussurrando tutto il tempo. Non mi azzardavo neppure a provare a parlare ad alta voce, -vicini a parte- ma non mi fidavo della stabilità della mia voce. Ero in balia delle emozioni. Mi sono coperta la faccia con le mani. Sembravo una povera stupida spaventata con il viso rosso e i capelli bagnati. -Non mi hai detto perché sei qui...- ho detto ancora visto che lui non accennava a parlare, sempre tenendomi le mani sul volto.
Lui: -Ti ho detto che se te lo dico mi prendi per pazzo-
Io: -E allora cosa hai intenzione di fare?-
Lui: -Stare qui, con te.-
Ho accennato un sorriso che lui non ha visto e ho scostato un po' le mani dalla faccia. -Perché?-
L'ho visto abbassare lo sguardo e fare un passo sulla stradina. -Cosí m' inganni Amelia, per risponderti devo dirti il motivo.- ha rialzato lo sguardo -"Perché il cielo é qui dove vive Giulietta". Non riuscivo a smettere di pensarti.-
Il mio cuore ha cominciato a galoppare. -Proprio pazzo, mio bel Romeo.-
Lui é sembrato per un momento troppo impacciato per continuare. -Ehy...- ho detto -Tranquillo- e ho sorriso. Questa volta l'aveva visto, il sorriso. E ha sorriso pure lui.
-Scusa, non volevo sembrare uno scemo, ma domani é troppo lontano-
-Anche per me-
I suoi occhi sono parsi scintillare sotto la luce del lampione. -Vieni?-
L'ho osservato pensierosa, mi dovevo fidare? Lui doveva aver capito che ero titubante. -Non sei costretta, anzi perdonami se ti ho disturbato-
Mi sono guardata le mani. L'unica cosa che mi sembrava reale in quel momento. Erano piccole e pallide, con le unghie un po' mangiucchiate. Non amavo lo smalto e questa era la conseguenza. Le nocche erano bianche a furia di stringere la ringhiera di ferro del balcone, ero agitata e non sapevo cosa fare. Mi sembrava tutto cosí surreale che per un attimo ho pensato di stare sognando. Ho conficcato le unghie nei palmi e ho sentito il dolore, okay decisamente non era un sogno. Leo intanto aspettava la risposta. Il cuore mi diceva di andare ma la ragione mi diceva che non potevo, che era rischioso, che era impossibile.
Era proprio quell'impossibile che mi ha fatto scegliere, alla fine.
Non volevo che tutto questo diventasse impossibile.
Ma avevo paura di sfidarlo.
Ho staccato le mani dalla superficie fredda del metallo e mi sono morsa un labbro, poi, senza guardare Leo sono rientrata, correndo, in camera. Non avevo dato una risposta, magari se ne sarebbe andato. Mi sono seduta sul letto tenendomi la testa. I capelli si erano sciolti e gocciolavano sul copriletto, come lacrime. Sono andata in bagno e me li sono strofinati con un asciugamano finché non sono diventati solamente un po' umidi. Ho sollevato gli occhi e mi sono guardata allo specchio. La ragazza riflessa ha ricambito lo sguardo tristemente. Era impossibile che piacessi a Leo, non poteva essere qui solo perché gli mancavo...ancora quella parola: impossibile. All'improvviso mi sono arrabiata con me stessa. Lí fuori c'era un ragazzo magnifico che amava i libri e che voleva che lo seguissi al quale, molto probabilmente, interessavo un po'. Forse voleva solo fare amicizia e sarebbe stato fantastico ma... Qual'era il mio problema? Perché dovevo negarmi di vivere come qualsiasi altra ragazza adolescente? Non volevo impedirmi di amare ma temevo di illudermi. Anche se illusa lo ero già. Non avevo niente da perdere.
Sono corsa in camera e mi sono messa le All Star bianche, poi ho preso la borsa a tracolla e mi sono precipitata giú dalle scale, verso la porta. Non mi importava come ero vestita, volevo solo raggiungere Leo. Ho chiuso velocemente la porta di casa a chiave e ho corso a perdifiato oltre il cancello del giardino, sulla stradina di sassi. Sono arrivata con il fiato corto al lampione. Lui non c'era piú.
Mi sono girata su me stessa guardandomi intorno, ma vedevo solamente la strada avvolta nel buio. Un senso di solitudine tremendo mi é piombato addosso, misto alla tristezza. Ecco, ora se ne era andato, per sempre. Solamente per una mia stupida crisi. Ho sentito gli occhi bruciare e ho tirato un calcio ad un sasso per sfogarmi, cercando di non piangere. Mi sono sentita tutto d'un colpo debole e ho appoggiato la spalla al lampione, per sostenermi. Poi, lentamente mi sono ritrovata per terra, seduta con le gambe strette in grembo e la faccia sulle ginocchia. Una lacrima solitaria mi ha rigato la guancia destra.
Stupida...Stupida...Stupida...
Un rumore sulla stradina mi ha fatto sollevare gli occhi. Speravo che fosse lui.
Due occhi gialli hanno ricambiato il mio sguardo patetico.
Era solo un gatto.
Mi sono alzata, consapevole di come sarei apparsa a chiunque fosse passato a quell'ora e mi sono diretta verso casa. Gemendo.

Tra le montagne in AlaskaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora