Capitolo 13: Tepore

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Elliot

La scena si è calmata, ci rimane solamente l'amaro in bocca. So che è realmente finita quando il paffuto tenente ordina ai Correctori di ammassare le carcasse una sopra l'altra. Alcuni Typos riconoscono i loro membri famigliari nella infinita piramide di corpi. Una donna si distacca dalla folla per andare di corsa ad abbracciare la salma del suo sposo. Viene aggiunta alla pila di cadaveri. È persino difficile sbattere gli occhi. Dopo il suo tentativo nessun altro prova a fuggire dalla corazza di uomini armati nella quale siamo stati inglobati.

Blair ed io stiamo fianco a fianco, osserviamo silenziosamente nostra madre mentre piange per terra. Oliver è seduto accanto a lei; non prova a darle conforto, ma lancia un'occhiataccia a chiunque si avvicina troppo, Correctore o Typo che sia. Leo, poveretto, si è accucciato vicino alla sua testa, mentre le scorre una mano nei capelli ritmicamente. È strano a vedersi, un bambino piccino che rassicura la propria madre. Mi domando dove abbia imparato a fare una cosa del genere.

"Perché cercherebbe di farlo?" La voce di Blair è talmente bassa che quasi non la sento. Quando do uno sguardo verso di lei rimango sorpresa di non trovarla in lacrime. Fissa nostra madre. Non c'è una traccia di felicità nel suo sguardo.

"Fare che cosa?" Rispondo, spostando lo sguardo da la mia triste gemella verso il cumulo di corpi dietro di me. Le mie mani, cotte e insanguinate dalle vesciche, mi bruciano mentre stringo i pugni.

"Si stava per... Uccidere? E Leo era con lei? Perché? Perché vorrebbe..." Blair tiene basso il tono della voce. Non so se è perché non vuole che mamma ci senta o perché non trova la forza di parlare.

Lascio la domanda senza una risposta per un istante. Guardandomi attorno, noto che mia madre non è l'unica ad essere distrutta emotivamente. Ci sono Typos di tutte le età per terra, che piagnucolano tra le loro braccia, o quelle dei loro cari, o verso il cielo. I loro piagnistei passano dall'insensato fino a richieste specifiche come la salvezza o un paladino.

"Abbiamo perso il controllo. E a qualcuno l'idea terrorizza." Dico semplicemente.

Sbuffa, ovviamente non soddisfatta della mia risposta. "Quindi si uccidono, capisco." Il suo tono è impassibile.

"Quegli altri stanno prendendo il potere."

Questa volta non risponde. Con la coda dell'occhio, la vedo sollevare lo sguardo per seguire il mio verso la pila di cadaveri. Ne riconosco uno, mia madre inizia a imprecare, Oliver si alza, e Leo inizia a piangere. Per un momento penso che coloro che si sono sacrificati abbiano fatto un atto di coraggio. È certamente più liberatorio di stare ad aspettare la propria morte.

"Che cosa sappiamo?" Chiede Oliver, interrompendo la mia fila di pensieri. Distolgo lo sguardo dalla valanga di salme. Mi ritrovo in cerchio con Blair e Oliver; Leo si è rannicchiato contro il seno di mia madre. Lei lo afferra, come se Leo fosse un'ancora. Continua a piangere.

"Non sappiamo un bel niente. È questo il punto." Blair scatta. Non è mai stata così agitata quando eravamo a casa.

"No. Sappiamo qualcosa. Sappiamo dove siamo. Knox. È un buon inizio." Oliver sembra veramente esausto. Blair alza gli occhi al cielo.

"Siamo a trentacinque chilometri dalle rotaie. Mi ricordo che qualcuno l'aveva detto." Dico la mia, cercando di aiutare il gruppetto. Non mi accorgo di quanto stia stringendo i pugni finché non mollo la presa. Le ferite appena riaperte mi bruciano. Del sangue mi cola dalle dita e finisce per terra.

Oliver sorride in risposta. "Bene. Nient'altro?"

Blair fa un cenno col capo verso Zayn, che sta trascinando una salma per le caviglie. Si porta la mano libera al naso per tapparselo. "Il nome del cadetto è Malik. Ci osservava mentre cucivamo ieri. Ha dei frequenti sbalzi di umore."

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