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Finalmente il treno si fermò. Due soldati, o così mi sembravano, aprirono il portone, salirono e spinsero con forza la gente. Sgattaiolai e uscii quasi subito.
Mi misi in una posizione abbastanza nascosta dove potei vedere tutto.

Sembrava un inferno. Le persone erano vestite con dei cappelli e  vestiti a righe che sembravano pigiami.
Venivano trattati come schiavi, picchiati e non veniva dato loro del cibo. Erano magrissimi e quando li vedevo pensavo alla forza che avevano per stare in piedi.
Da queste scene capii tutto.
Quando toccai lo specchio fui catapultata nel passato negli anni della Seconda Guerra Mondiale.
Ma quello che mi chiesi era: perché è successo tutto questo? Forse potrò cambiare le sorti?
Spero proprio di sì.

All'improvviso mi sentii prendere e mi ritrovai fra le braccia di una bambina. La guardai bene.
Sì, era proprio la bambina su cui mi ritrovai seduta nel furgone.

<<Sei una bellissima gattina! Ora ti porto nella mia casetta!>>

Dopo due minuti di corsa io e la bambina entrammo nella stanza.
Spalancai gli occhi. Come poteva chiamarla "casetta" quella bambina?
Più che una casetta questo posto sembrava una struttura di legno con all'interno dei letti, anch'essi di legno, senza coperte e erano presenti tante persone tanto che respiravo a fatica.

Il Guardiano di AuschwitzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora