Face to face with reality

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Erano passati ormai quattro giorni da quando avevo per sbaglio incontrato lo sguardo di uno dei ragazzi seduti al tavolo della pizzeria di John. Dire che non ci avevo pensato nemmeno un secondo sarebbe una totale e completa bugia, perchè effettivamente ci avevo pensato parecchio, a quel ragazzo. Al nord avevo un mio posto speciale, dove riflettevo e scaricavo i pensieri in eccesso; era un piccolo muretto quasi mai illuminato dalla luce del sole in un vecchio parco che ormai quasi più nessuno frequentava.

Buttai l'occhio alla sveglia sulla mensola vicino al letto. 15:27. Papà stava facendo il suo solito pisolino pomeridiano che non sarebbe finito prima delle 17:30. Presi una felpa, il mio libro e, dopo aver lasciato un post-it attaccato sulla porta per non far preoccupare papà, uscii fuori di casa per prendere una boccata d'aria fresca.

Ricordavo il paese molto più grande di quello che in realtà era, sarà che da quando mi ero trasferita non ero uscita di casa molto spesso, se non per andare da John o da mio nonno all'ospedale.

Mio nonno aveva avuto due infarti qualche anno fa, ma da quando gli avevano diagniosticato il cancro al pancreas tutto era peggiorato. Lo tenevano perennemente sotto controllo ed era legato al lettino dell'ospedale da quasi un anno. Fu proprio lui una delle principali ragioni per cui ci eravamo trasferiti.

Stavo passeggiando senza una metà ben precisa quando mi resi conto di aver raggiunto la piazza del paese. trovai delle piccole panchine su cui decisi di sedermi. Era un posto abbastanza tranquillo, tanto che trovai ispirazione per continuare la lettura del mio drammatico libro sui lupi mannari e su quanto i loro corpi siano scolpiti.

Ebbi il tempo di leggere soltanto un paio di pagine quando fui interrotta da un gruppo di voci che si avvicinavano sempre di più a me. Quando mi passarono di fronte notai che erano una decina di persone, rispettivamente divise in coppia, ragazzo e ragazza. Ma proprio mentre stavo per abbassare ancora lo sguardo e ritornare sul mio libro, mi accorsi di un paio di occhi blu che risultavano familiari nei miei pensieri. Era il ragazzo della pizzeria.

"Blue eyes", come l'avevo soprannominato nella mia testa, teneva stretta la mano di una ragazza mediamente alta, bionda, con vestiti griffati e tacchi altissimi, come il resto delle ragazze nel gruppo. Guardai per un istante il mio outfit: leggins neri classici, una t-shirt semplice e una vecchia felpa. ero uno straccio.

Mi alzai lentamente, sperando di non farmi notare dal gruppo che si era posizinato proprio di fianco a me, presi il mio libro, lo strinsi tra le braccia e mi incamminai. Fui obbligata a passare davanti a loro poichè casa mia era proprio in quella direzione. Con la coda dell'occhio notai che lo sguardo del ragazzo era rivolto verso di me, ma sta volta non ricambiai, nemmeno di sfuggita. Sta volta era finita, era fidanzato, fine dei giochi.

Una volta superata la strada principale in cui tutto era molto più visibile, corsi verso casa con gli occhi e la gola in fiamme, forse per la rabbia o forse per il dolore. Il ragazzo a cui avevo tanto pensato, era di qualcun'altro.


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