Capitolo 4

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Certe persone sono destinate ad incontrarsi. È il destino che traccia i sentieri come una volta vidi fare alla mia scuola nel "Giardino zen". Un'altra idiozia per cercare di evitare di diffondere il bullismo contrastandolo con la pace e l'armonia, che trovavano la loro oggettivazione in quel giardino. Ho sempre odiato queste idiozie. Sono le azioni concrete che cambiano il mondo, è l'educazione che lo cambia, non un giardino. Rimasi però incantato quando quel professore tracciò con una specie di bastone delle righe tra la sabbia. Alcune si incontravano, altre rimanevano parallele, altre si allontanavano. Mi piaceva immaginare che quei percorsi fossero le vite di ognuno di noi: alcune erano destinate a rimanere due linee parallele, due binari del treno, che ogni secondo si fissano, ma che non potranno mai incontrarsi; altre erano destinate ad allontanarsi; altre erano destinate a incrociarsi, unirsi, confondersi.
E così, in quel primo giorno di scuola in una grigia giornata di settembre, iniziavo la quarta superiore pensando alla mia vita che era entrata ufficialmente in contatto con un'altra vita,  quella di Matteo, che a qualche chilometro da me stava iniziando la quinta superiore. Al contempo il destino volle che le nostre vite si incrociassero senza legarsi realmente: i chilometri erano l'unica cosa che ci dividevano ancora.
Forse era troppo presto e non avrei dovuto pensare che davvero potessi diventare suo amico. D'altronde lo conoscevo da due settimane circa e mediamente le mie amicizie su Twitter duravano tre settimane. Con lui però c'era qualcosa di diverso. Ogni giorno ci menzionavamo così tanto che credo che i nostri seguaci ci odiassero. Tutti loro si ritrovavano le nostre conversazioni chilometriche in cui ormai parlavamo liberamente e intimamente, come se fossero conversazioni private. Mi piaceva immaginare che avessimo comunque un pubblico che potesse condividere con noi le nostre emozioni, invidiarci per come stavamo diventando amici. Avevo forse trovato un'ancora? Era lui la persona che il destino mi teneva in serbo? Non ne ero realmente sicuro, ma le sue parole suonavano alle mie orecchie come una sinfonia di Mozart, di Beethoven, di Wagner. Una di quelle sinfonie che non senti fisicamente ma che senti dentro di te, che ti avvolge spiritualmente e ti culla. Una sinfonia che ti assorda perché non ti fa sentire ciò che succede nel mondo reale, una sinfonia che ti tiene aperti gli occhi nel mondo reale ma che ti fa vedere un altro mondo.
"Alessandro? Hai sentito quello che ti ho detto?" mi chiese Alice. "Sì!". Alice era la mia migliore amica. Ci conoscevamo sin dalle elementari e nonostante ci fossimo persi di vista alle medie, ci siamo ritrovati in classe insieme alle superiori. Era una delle persone a cui potevi confidare tutto e che era sempre in grado di trovare le parole giuste al momento giusto.
"E cosa ti ho detto?"
"Che..."
"Non mi stavi ascoltando. Ti ho chiesto: dove ci mettiamo di banco quest'anno?"
"Scusa. Mi va bene qualsiasi fila, basta che io sia vicino alla finestra". Avrei potuto seguire il volo degli uccelli, liberi di andare dove volevano e seguire chi volevano. Avrei seguito con gli occhi gli uccelli di passaggio e avrei desiderato essere sulle loro ali.

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