Capitolo 8

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"Non tutti i giorni, però ti penso sempre". Non avevo capito cosa intendesse. Non avevo proprio capito, ma sembrava una cosa positiva. Forse intendeva che alla fine rimanevo sempre un pensiero di sottofondo nella sua mente, nonostante io non facessi parte diretta della sua quotidianità. Come una canzone che non senti nitidamente, ma che ti rimane sempre impressa nella mente e per la quale alcune volte alzi il volume della radio.
E in quei giorni per me quella canzone, che al meglio rappresentava la colonna sonora della mia vita, era Wonderwall degli Oasis.

Una sera mi coricai e iniziai a pensare, come di solito facevo prima di addormentarmi. E mi venne un'illuminazione, mi sorse una domanda spontanea. Non potevo credere che mi fossi posto una tale domanda. Ci sarebbe stato un casino, se la risposta a quella domanda fosse stata positiva. Ma iniziai a raccogliere le carte, a pensare a tutto ciò che era successo, al nostro passato. E ragionai, pensai, ragionai. Non era facile trovare una risposta. Mi avevano insegnato così: a domande del genere non puoi rispondere su due piedi. Può sembrare stupido, ma ci devi pensare su, nessuna risposta o decisione viene totalmente spontanea. Anche la decisione più istintiva ha una base di razionalità. Così continuai a scandire bene le parole, anche ad alta voce, ma non troppo, ovviamente, non potevo farmi sentire. E così ripetevo e ripetevo: "Ma io, sono innamorato di Matteo?".

Sembrava una domanda così stupida con una risposta così semplice: certo che no. Matteo innanzitutto era fidanzato. Con una ragazza, s'intende. E io non mi ero mai chiesto o posto il problema della mia sessualità. Molti dei miei compagni avevano già "fatto l'amore", che poi per la metà di questi era solo un modo per fingere di essere grandi. Io, invece, preferivo dare tempo al tempo. Non sono mai stato attratto da nessuno, quindi realmente non avrei potuto dare una risposta, almeno alla domanda relativa al mio orientamento. Era persino imbarazzante pensare a queste cose. Ero cresciuto in una famiglia un po' bigotta. I miei genitori vivevano col terrore che io potessi essere omosessuale. Non ne erano spaventati, di più. Vedevo il terrore nei loro occhi. Effettivamente credo che avessero questa "paura", perché non mi atteggiavo totalmente come generalmente si crede che i maschi si debbano comportare. Non mi piaceva il calcio, non sbavavo guardando i culi delle ragazze, odiavo comportarmi in maniera rozza. Certo, non tutti i maschi sono così, ma sicuramente io non mi avvicinavo per nulla nemmeno allo stereotipo del tipico maschio. E pensandoci su, Matteo non mi dispiaceva. Avevo visto molte sue foto, perché da quando ero tornato da Parigi, mi aveva chiesto quale fosse il mio vero nome e cognome così mi poteva aggiungere su Facebook e vedere le foto della gita, insomma un po' per partecipare anche lui, in un certo senso.
Fisicamente era proprio come me lo ero immaginato. Alto, castano, occhi grandi e marrone chiaro. Gli occhi erano la cosa che più mi avevano colpito: sembravano enormi, degli occhi che davvero parlavano. Mi ci potevo perdere in quegli occhi. Erano la raffigurazione più chiara di quel mare in cui avrei desiderato perdermi. Sentivo proprio che "il naufragar m'è dolce in questo mare". Non amavo però fermarmi all'aspetto fisico. Non era davvero importante che Matteo fosse bello per essere mio amico. Meglio ancora che inizialmente ci siamo conosciuti senza mai vederci in fotografia. A me Matteo stava simpatico e piaceva, nel senso, come amico, per la sua essenza, per ciò che pensava e diceva, per ciò che era dentro, non per il suo aspetto. Anche quando mi accorsi che fisicamente non era poi così male, quest'aspetto non divenne mai predominante. Ma così era sempre stato con tutte le persone. Era però quest'unione tra simpatia e aspetto che creava in me una sorta di attrazione. E ora dovevo capire se quest'attrazione fosse dovuta solo al fatto che fossimo così amici, così legati e con così tante cose in comune o perché davvero mi piacesse.

Decisi di parlarne con Alice. D'altronde era una delle mie migliori amiche. Avrei sicuramente trovato una risposta discutendone con lei. Non le avrei ovviamente detto di Matteo, ma avrei dovuto iniziare a far luce su me stesso.
"Penso di essere omosessuale" dissi ad Alice. Forse in maniera troppo diretta.
"Stai scherzando?".
"No, sto parlando seriamente, volevo parlarne con te".
"Sai che l'omosessualità è contro natura?".
"Cosa stai dicendo?".
"Sai che è contro la religione?".
"Ma stai scherzando tu?". Ero sconvolto.
"Sai che.. sai che..". Continuava con le sue finte argomentazioni senza una base, fuori luogo ed estremamente offensive.
"Alice, non ti riconosco".
"Io nemmeno".
"Sei una stronza".
Non ci credevo. Proprio in quel momento capii di non avere più amici. Alice, che pensavo essere la mia migliore amica, era una vera e propria stronza. Se un amico si rivela un falso amico, non lo è mai stato veramente. E questo mi feriva tantissimo. Chi ama non ritorna, chi ama non va mai via. Come avevo fatto a credere che lei fosse vicina a me, quando in realtà di me non le importava nulla. Io non sono il mio orientamento sessuale, io sono Io, io sono una persona, che deve essere accettata per come è. Tutt'al più da una persona che ritenevo amica.

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