Capitolo 1

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Segui. Segui. Segui. Si fa così, su Twitter. Conta il numero di seguaci che si hanno e io ne ero totalmente dentro. Sapevo che era sbagliato, insomma. Non potevo calcolare la mia simpatia e popolarità in base al numero di seguaci su Twitter, ma sì, non potevo negarlo, mi faceva stare bene e male allo stesso tempo. Ero consapevole del fatto che avessi tanti seguaci ma così pochi amici nella realtà, ma poi ci si abitua, a stare da soli e a circondarsi di persone che speri possano salvarti ma che non conosci davvero e il cui profilo spesso non visiti nemmeno. A volte capitava che conoscessi qualcuno, ma potevo definirlo un conoscersi? Era più un terzo grado. Quando qualcuno per caso mi scriveva, il che era diventato sempre più frequente da quando avevo battuto la soglia dei 6000 seguaci, iniziavano le domande di routine: nome, provenienza, età, scuola frequentata. Da inquisitore diventavo inquisito e toccava a me rispondere alle mie stesse domande; ma era un modo normale per presentarsi: piacere, Alessandro, Verona, 17, liceo linguistico. Poi le conversazioni continuavano su temi diversi e spesso morivano sul nascere, come la mia speranza di trovare un'ancora nel mare dell'oblio. Ero arrivato persino a dare in messaggio privato il mio numero di telefono a quelli che mi scrivevano più spesso e che mi sembravano affidabili. Ma anche in questo caso poco accadeva. Rimaneva il numero sulla mia rubrica, ma spariva l'interesse, come quando un amico diventa un conoscente: non sparisce il tuo ricordo di lui, ma non avete più rapporti d'amicizia. Succedeva così spesso ormai: nella vita reale era un qualcosa di insopportabile, ma nella vita virtuale era abitudine. Ci si abitua poi, sai.
E ci si abitua a mentire, non intendo virtualmente, a che pro avrei dovuto mentire a qualcuno che manco conoscevo dal vivo? Arrivi a mentire a te stesso, pensi di essere diventato la persona che volevi diventare, ma capisci di essere un nulla nell'universo. Un ragazzo come tanti, anzi, un ragazzo poco accettato e problematico. I miei genitori temevano non avessi amici, allora supplicavo le persone di uscire con me, quando nemmeno io sarei uscito con me stesso. Ero insopportabile. Nel mondo virtuale tutto invece cambiava. Tutti eravamo lì per un motivo più o meno simile e la gran parte delle persone ti capivano. Ma non potevo continuare a vivere virtualmente, esisteva una vita nel mondo reale. E non potevo più mentire a me stesso anche sulle cose più banali. E non potevo più mentire ai miei genitori quando mi chiedevano perché usassi così tanto il telefono. "Stanno bene i tuoi amici? Quando esci con loro?" mi chiedevano. Peccato che quegli amici con cui stavo parlando erano sì reali, ma abitavano a chilometri e chilometri di distanza, in regioni lontane dalla mia, o addirittura in altri Stati.

Ero diventato così bravo che mi annotavo tutti i nomi di coloro che conoscevo su Twitter. Questo mi dava sicurezza, così avrei evitato figure di merda, ma questo mi rendeva anche molto triste. Se nemmeno riuscivo a ricordarmi chi conoscevo, come avrei potuto considerarli amici? Era davvero ciò che volevo? Non sapevo più dare risposte a queste domande e non capivo più nemmeno cosa volessi. Una cosa era certa: volevo scappare. Scappare da me stesso, ero diventato il demone del mio mondo e non sapevo più come avrei potuto salvarmi. Sicuramente non sarei stato in grado di salvare me stesso. Nessuno si salva da solo.

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