Capitolo 6

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Parigi. Avevamo scelto Parigi come città in cui andare per la gita di classe. Niente poco di meno che la splendida Parigi. La ville lumière. La città dell'amore, una delle città più amate al mondo, una delle città più misteriose.
Amavo da sempre viaggiare, ancor più da quando frequentavo il liceo linguistico. Si viaggia di corpo, ma soprattutto di spirito. Ed è verissimo. Di ogni viaggio amo ricordare le sensazioni che ho provato, i profumi e gli odori che ho sentito, le persone che ho visto. Viaggiare permette di aprire la mente, di staccarsi dalla propria vita e condurre per un determinato periodo una nuova vita.

A Parigi avremmo alloggiato presso varie famiglie. Ovviamente il preside ci impose di dividerci in base al sesso: maschi con altri maschi, femmine con altre femmine. Così sarei finito con altri miei compagni. Maschi. Considerando che non avevo un buon rapporto con nessuno di loro, sapevo già che la convivenza tra di noi non sarebbe stata così facile. Ma poco m'importava. Volevo solo provare a vivere una settimana da parigino: vivere in una famiglia francese, prendere ogni giorno il metro, passare davanti alla Tour Eiffel e intrufolarmi in tutti quei vicoli grigi, sporchi, ma al contempo caratteristici e pieni di vita. Una città non si conosce dai luoghi pieni di turisti. Una città si conosce dai suoi vicoli più stretti e remoti. Un po' come una persona. Ma come si può pretendere che gli altri ci conoscano se noi stessi non siamo in grado di conoscerci? "Conosci te stesso" è fin dall'Antica Grecia una delle sfide più complesse.

Io e Matteo ormai non ci sentivamo più da un mese. Ci siamo scritti su WhatsApp per tutto gennaio e dal nulla nessuno dei due si è più fatto avanti. Era ormai metà febbraio e mancava meno di un mese alla mia partenza per Parigi. Mi sarebbe piaciuto fargli sapere che andavo proprio in quella città, che entrambi amavamo. In realtà non sapevo se lui amasse davvero Parigi, ma ne ero certo.

Terminato il periodo delle prime verifiche e interrogazioni del secondo quadrimestre, arrivò finalmente metà marzo. E Matteo non si faceva sentire da un mese e mezzo. Mi chiedevo sempre cosa pensasse di me. Si ricordava che esistevo? Ero solo io ad aspettare un suo messaggio? Ho sempre creduto che solo io fossi quello che veramente teneva alla nostra amicizia. Ma forse mi ero affezionato troppo velocemente, come sempre succede.

"Sei felice?" mi chiese Alice. Una delle domande più complesse al mondo.
"Se sono felice?".
"Sì, di andare a Parigi, intendo".
"Ah, sì, in quel senso, sì, felicissimo!".
Queste erano le domande che Alice mi poneva mentre salivamo sul treno. Per andare a Parigi la mia professoressa di francese scelse di prendere il TGV, che partiva quella mattina da Milano Centrale. Ah, Milano.
I nostri genitori ci accompagnarono alla stazione. C'era mia mamma, i genitori di Alice, la mamma di Camilla e i genitori di tante altre mie compagne. Come al solito mia mamma aspettava che la salutassi dal treno in partenza. Era ormai un rituale prima dei miei viaggi. Mi faceva sentire un bambino. Mi immaginavo un po' come Zeno Cosini di Italo Svevo: un bambino con gli occhi grandi e le mani piccole. Quando lessi per la prima volta La coscienza di Zeno mi rispecchiai totalmente in quella descrizione. Mi sentivo più che altro un osservatore della vita, incapace di afferrarla.

Durante il viaggio in treno non parlai molto. Continuavo a pensare a Matteo; ero indeciso se scrivergli o meno. Ma alla fine, orgoglioso come sempre, decisi di non fare il primo passo, almeno questa volta. Lasciavo però la sua chat sempre aperta e controllavo ogni passaggio da "online" a "ultimo accesso". Quando ci avvicinammo al confine vidi che era online. Stava sempre attaccato a WhatsApp.
Ero pronto ormai a mettere via il telefono. In Francia non avrei avuto connessione, perché andava in roaming. Pochi metri prima del confine, però, sulla sua chat comparve la scritta "sta scrivendo". Lanciai quasi un grido. Un grido dentro di me. Sono sempre stato un grido che non si sente. Iniziai ad affannare nell'attesa di ricevere il messaggio prima che perdessi connessione. Sembravo un corridore che non riesce ad arrivare a meta, che sta per essere sorpassato e che si sente bloccato, schiacciato da qualcosa. Degli interminabili secondi passarono. Sentii vibrare il telefono. Abbassai lo sguardo per vedere chi fosse. O meglio, dentro di me sentii che abbassai lo sguardo per guardare cosa mi avesse scritto Matteo. Roaming. "Tre le dà il benvenuto in Francia". E di Matteo nessuna traccia e non ne avrei avuta ancora per altre ore. Così vicino, così lontano.

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